Nella valle senza nome. Storia tragicomica di un agricoltore
«Non sono neanche a metà del guado, mi chiedo, a dispetto della fulgida retorica sul ritorno alla sana vita di campagna, se ne uscirò mai vivo». Il diario sentimentale di un agricoltore alle prese con la vita quotidiana in una valle. Che è senza nome perché è tutte le valli d'Italia. «Una volta, dieci, vent'anni fa, quando dicevi che facevi l'agricoltore, la gente sorrideva, non diceva niente e, con educata discrezione e malcelata diffidenza, anche tappandosi un po' il naso per il terrore di sentire qualche essenza di puzza che solo la campagna sa creare, si allontanava e non ti rivolgeva più la parola per tutta la sera. Forse pensavano che avessimo la pellagra, o che fossimo tutti alcolizzati, o tarati a causa della consanguineità dovuta all'ignoranza e alla promiscuità in cui ci pascevamo. Forse temevano che avessimo le scarpe sporche di fango, o peggio, di merda, e che potessimo lasciare un'impronta infamante sul tappeto persiano. Comunque, questo va detto, non era colpa loro: vent'anni fa, la retorica Verde era agli esordi, il bozzettismo bucolico era appena uscito dai sussidiari per trasferirsi finalmente in tivù. È vero anche che, in certi ambienti, già si disprezzava apertamente la retorica del Mulino Bianco, quel ciarpame di mistica bucolica in salsa toscana col cipressetto di Monticchiello ripetuto milioni di volte, un Eden di cartongesso che era facile da criticare, ma ci si limitava a questo: a prendere marxianamente le distanze dai messaggi della pubblicità, dalle cadute di gusto degli slogan, non c'era ancora un'ideologia di massa (dovuta a un'incredibile strategia di marketing inventata da alcuni geniali imprenditori). Dovevano passare ancora anni prima che, alle cene degli inurbati, gli agricoltori fossero gratificati dalla deliziata incredulità delle signore di città. Ma ora ci siamo. Ora siamo eroi. E anche un po' santi, sicuramente beati (beato te, beato lei che sta in campagna, qui in città non se ne può più, mi creda, beato lei!). Mi sfiora il dubbio che si sia passati da un eccesso all'altro. A voi no? Saremo anche beati, ma il fatto è che gli agricoltori non 'stanno' in campagna, ci vivono e ci lavorano, cioè traggono sostentamento. Insomma, è il lavoro più bello del mondo, l'ho scritto e lo confermo, ma in fondo è un lavoro come un altro.»
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