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Anno edizione: 2021
Anno edizione: 2015
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A dispetto del titolo, questo libriccino non offre consolazione alcuna a chi lo legge. Ne avevo sentito parlare dallo stesso editore di Iperborea ad una lezione di storia dell’editoria, ma, contrariamente a quanto Biancardi sosteneva, ritengo di doverlo sconsigliare vivamente se ci si trova in uno stato d’animo in cui un po’ di consolazione è tutto ciò che si desidera. Riga dopo riga l’autore confuta qualsiasi modo per trovarla, in una disperazione profonda e ostinata che pare sciogliersi solo verso la fine, quando la speranza di una liberazione dagli schemi sociali e culturali che ci imbrigliano senza via di scampo sembra ridare un po’ di luce e colore alle pagine. È un lampo, tuttavia; subito scompare. Dagerman infoltisce il gruppo di quelli che non hanno saputo reggere il peso del successo: visceralmente anarchico, non è riuscito a stare alle perverse regole del gioco della vita e ha deciso di uscirne, di tirarsi fuori. Una lettura di cui, forse, avrei potuto fare a meno.
è questo che porta a fare questo scritto: riflettere. è un libricino da leggere e rileggere. credo di dover ancora metabolizzare bene ma mi sono ritrovata a riprendere alcuni passaggi che nel giro di pochi minuti ho percepito già in due modi diversi: prima e dopo l’incontro con Stig. così a caldo mi vengono in mente pensieri che non so se abbiano una connessione con ciò che ho appena letto. Dagerman parla di vita, di morte, di consolazione ed io ora riesco solo a pensare alla mia paura verso la m0rte, verso l’invecchiare e verso l’ammalarsi. il mio non accettare tutte queste cose e la mia paura nel trovarmele di fronte o nel trovarmici dentro, che tipo di persona mi fa diventare? rifletto spesso su queste mie sensazioni: perché ho paura di un nonno che invecchia, che sta male o ancora di una persona cara malata? continuo a pensarci, a soffrire per loro ma resto lì, immobile. mi sento in colpa per un bacio sulla guancia non dato, per una carezza trattenuta, per un abbraccio negato… perché ne avrebbero avuto bisogno ed io ero lì presente fisicamente e mentalmente ma non d’aiuto, non di conforto. impotente. ecco! quello che mi spaventa è la mia impotenza verso questi avvenimenti inevitabili come appunto la morte o la malattia. è difficile metterlo per iscritto perché è una cosa che ho sempre tenuto dentro ma è così, ho paura; ed invece di guardare in faccia questa mia paura chiudo gli occhi e mi scanso. ma loro sanno che li amo/li ho amati? ma loro sanno che ero lì presente? è questo che significa sentirsi schiavi della vita? io voglio essere libera ed io mi sento libera. «il mondo è più forte di me. al suo potere non ho altro da opporre che me stesso – il che, d’altra parte, non è poco.» la mia consolazione forse è che so di amare tanto, so di riuscire ad esprimermi con un piccolo gesto che per chiunque può sembrare insignificante ma che per l’interessato è di enorme valore – o almeno credo :)
Una interessante e profonda riflessione sulla vita. Edizione molto gradevole. Postfazione interessante.
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