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Anno edizione: 2016
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Al centro di questo romanzo d’esordio dell’autore una storia intensa che vede protagonista un bambino, di cui non viene indicato il nome, due cani affettuosissimi Ringo e Otto, una coppia di genitori benestanti che ama il proprio figlio. Il bambino si sente soffocato da questo amore al punto di viverlo come una sofferenza e indurlo a non mangiare. Grazie ad un ritmo scandito dalla routine quotidiana, vengono descritte scene di vita, normali ma anche disturbanti; due genitori che proiettano sul figlio le proprie aspirazioni fino al punto di negargli un’infanzia normale, senza accorgersi della sofferenza del figlio e di loro stessi. Alcune descrizioni sono davvero dure e crude soprattutto se si considera che ad agire è un bambino di otto anni. Tutta la descrizione è suddivisa in quattro parti, ciascuna intitolata come le quattro stagioni, si parte dalla primavera per arrivare all’autunno. I luoghi delle vicende sono descritti dal bambino come luoghi oscuri e pericolosi dove non si può che avere paura: dalla casa con giardino alla cantina, dallo studio del pediatra alla scuola inclusa la casa al mare. La difficoltà della crescita, di relazionarsi con la famiglia, i compagni di classe, gli amici incontrati a scuola tutto si traduce in un difficile rapporto con il cibo elemento fondamentale della crescita, crescita a cui il bambino si oppone con tutte le sue forze. Temi importanti trattati con profondo realismo e un pizzico di ironia, il finale inaspettato lascia il lettore senza parole e di fronte a tanti interrogativi.
Il testo mostra come nei riguardi del cibo l'approccio possa essere diverso in base alle proprie motivazioni.Quante peripezie per ottenere il risultato voluto, ma é poi quello più desiderabile? Cercare di essere una buona madre nel curare l'alimentazione di un figlio entro quali limiti dovrebbe fermarsi? Quanto pesano le abitudini e le caratteristiche di un gruppo, giuste o sbagliate che siano, ai fini di potervisi socialmente integrare? Una lettura che offre interessanti spunti di riflessione.
“Orfanzia”, neologismo che mescola l’aggettivo “orfano” e il sostantivo “infanzia”, inventato dall’autore che si chiede se ci si può davvero sentire “orfani dell’infanzia” e per quale motivo. Il protagonista è un bambino, che non vuole mangiare. La sua non è inappetenza dovuta a qualche disturbo alimentare, ma un vero e proprio rifiuto del cibo. L’Io narrante del bambino, racconta la sua storia, in un misto di paura, ansia e paranoie che portano a dipingere i genitori come due mostri senza scrupoli che tutto vogliono, tranne che il suo bene. Il romanzo ha i toni cupi da favola nera, in cui l'anoressia è solo un pretesto, o meglio, l'arma del protagonista per ribellarsi al terrore di essere bambino, nella spietata routine di una normale famiglia. Ad emergere è l'egoismo feroce degli adulti, che vogliono per il figlio ciò che decidono loro, anche a scapito del bene del ragazzo stesso e di rovinargli la vita. La copertina del romanzo, rispecchia perfettamente quel tono cupo e di angoscia che si prova leggendo la narrazione
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