Jean-Luc che cattura nella sua rete più di una preda per raggiungere il suo obiettivo e sacrificare la sua giovinezza, ritrovarsi a trent’anni già vecchio e con il cuore arido. All’inizio ho pensato a una copia leggermente modificata di David Golder: sebbene l’ambientazione sia diversa, il protagonista si trova in circoli simili, circondato da persone che non provano nulla, ma creano legami solo per poterli sfruttare a tempo debito. Conoscendo più a fondo Jean-Luc ho poi capito che non è solo l’obiettivo a renderli diversi – per l’uno è il denaro, per l’altro il successo – ma anche ciò che hanno nel cuore. Anche se in modo quasi impercettibile, Golder appare agli occhi del lettore più umano di Jean-Luc. Ho inizialmente provato odio per quest’ultimo, proprio per il suo essere cinico, infine pietà perché, proprio chi per anni ha cercato una preda, è rimasto intrappolato nella sua stessa rete. Una mossa falsa e ci si trova in balia della propria ossessione, di ciò che è mancato per tutta una vita, della solitudine e di un amore irrazionale scoppiato improvvisamente. Irène Némirovsky non poteva, di certo, scegliere un titolo più appropriato: non si è mai tanto preda di qualcuno, fino a quando non lo si è di se stessi. “Passi la vita a combattere, affannato, disperato. A un certo punto pensi di aver vinto, ma invece le umiliazioni, gli insuccessi, le delusioni, i disastri, si sono sedimentati dentro di te, aspettano il momento giusto, e un bel giorno vengono a galla tutti insieme e ti soffocano, come se la debolezza del bambino che ri stessi in agguato nel cuore dell’uomo, pronta a sconfiggerlo, pronta ad annientarlo.” Lo stile è incisivo e secco quanto basta, descrive, come sempre, la società parigina dell’epoca mettendo a nudo tutti i difetti, le ipocrisie e i complotti. E in particolare questa volta Irène mostra la vera debolezza di quegli uomini politici: il voler cercare l’ammirazione sempre e comunque, dimostrare la loro potenza.
La preda
«La mia anima, come una nave nella burrasca, è trascinata verso ignoti abissi»: quando Jean-Luc Daguerne scoprirà dentro di sé «quel desiderio di tenerezza, quel disperato bisogno di amore» che ha sempre negato e represso, saprà anche che non riuscirà mai a soddisfarli. Lui, che per tutta la vita non ha sognato altro se non di «afferrare il mondo a piene mani», soprattutto quello vicino al potere, e che per riuscirci ha messo incinta la figlia di un ricco banchiere, costringendo così il padre a dargliela in moglie; lui, che ha accettato di essere umiliato, di mentire, di adulare, di fare il doppio gioco, che ha inaridito il proprio cuore perché potesse affrontare senza fremere «un mondo di imbroglioni e di sgualdrine»: ebbene, proprio lui si troverà di fronte all’impossibilità di farsi amare dall’unica creatura che abbia amato in vita sua, dall’unica donna nelle cui braccia abbia sentito riemergere in sé, fino a soffocarne, la sua fragilità di bambino. Allora non gli importerà più niente della sua carriera politica, né del successo tanto rabbiosamente cercato. E si chiederà che senso abbia avuto tutto quel lottare ansimante per sottrarsi a un destino di miseria, per intrufolarsi negli ambienti giusti, per avere in mano le carte vincenti. Alla fine, il patto faustiano si rivela una beffa, e il successo che, «da lontano, ha la bellezza del sogno, allorché si trasferisce su un piano di realtà appare sordido e meschino».
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Autore:
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Traduttore:
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Editore:
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Collana:
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Anno edizione:2012
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Emanuela Alterio 01 marzo 2017
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