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Anno edizione: 2011
Anno edizione: 2010
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Quando ormai sembrava che Licia Troisi e la Mondadori si fossero completamente dimenticati di questa saga, a un anno di distanza da "L'eredità di Thuban", ecco arrivare in massima sordina "L'albero di Idhunn", secondo episodio della pentalogia, castrato anche per il fatto di avere ben cento pagine di meno del precedente. Non è una saga adatta a una sola uscita annuale in quanto enfatizza sull'essere un serial. In fondo le pagine non sono molte e sono scritte con carattere e spaziatura enorme (il che è un bel punto a favore, non c'è niente di più piacevole che veder scorrere le pagine rapidamente mentre si legge un libro), quindi sarebbe stato meglio un appuntamento almeno semestrale o a otto mesi. Dispiace, perché è in verità una saga veramente carina, molto semplice ma proprio grazie a questo risulta essere piacevole senza troppe fisime, la sua dichiarata vena per ragazzi (ormai non è neanche più presente nel reparto fantasy) le evita di finire vittima dei soliti detrattori sempre pronti a insultare gli sforzi della Troisi, ormai sport nazionale: come si fa a essere così accecati dall'invidia e non accorgersi che Licia Troisi è una bravissima narratrice, che la sua chiarezza nella forma è un punto di forza, che non bisogna per forza scrivere in elfico per fare fantasy degni... ma questo è un discorso generale per ogni romanzo della nostra. Tornando a "L'albero di Idhunn", con iniziale grande dispiacere, ci si trova questa volta lontani da Roma. Ma ben presto il dispiacere viene meno, in quanto ancora una volta ci si trova in una location azzeccatissima: Benevento e le sue leggende di streghe. L'autrice è bravissima a descrivere certi ambienti e quando il lettore si rende conto che questi esistono realmente, subito la bavetta fa capolino e la voglia di fare un secondo "Ragazza Drago Tour", quindi dopo il lago di Albano e Villa Mondragone del primo episodio, come non restare estasiati dalla descrizione del chiostro oppure dal moderno e bizzarro Hortus Conclusus, e che curiosità di andare a vedere se nell'obelisco di Benevento è davvero presente una piccola serratura... Insomma, un gran bel lavoro da questo punto di vista accompagna almeno metà del romanzo. E' a livello trama che risulta lievemente inferiore al precedente. Inizialmente si ritrovano le adorate fisime e complessi di Sofia, messa ancora una volta alla prova davanti alla sicurezza che sempre dimostra Nadja. Sofia che esplora Benevento, che fa ricerche nei libri, è tutto molto bello, fino a quando accade l'irreparabile: purtroppo, anche in questa saga dove sarebbe stato preferibile evitare questa situazione che ormai ammorba ogni singolo romanzo in uscita, ecco spuntare l'innamoramento della protagonista. Il party, come prevedibile (più o meno un frutto e un ally per ogni romanzo, essendo cinque), in questo seguito si allarga, ma purtroppo al collaudato duo si va ad accostare un... maschio! Ovviamente, in quanto maschio, è solamente un elemento di disturbo perché: distrugge il personaggio di Sofia che da quando si prende la cotta non è più simpatica; è il classico belloccio tormentato e tenebroso; è antipaticissimo ma con il fastidioso atteggiamento da "sotto sotto è buono". Insomma, la trama quindi, specie nella seconda parte è improntata su di lui e la sua indecisione su quale parte schierarsi. Noia, prevedibilissima noia. Come riflette la stessa Sofia all'inizio del romanzo, prima di imbambolarsi dietro il tipo: sarebbe stato meglio che il terzo Draconiano fosse stata un'altra ragazza (vengono citate le mitiche Mermaid Melody come esempio!). Anche per i nemici purtroppo accade lo stesso, si chiarisce fin dall'inizio che la mitica Nida sarà assente in quanto già alla ricerca del terzo frutto (quantomeno risulta ovvio che nel terzo romanzo si scatenerà), e si rimane con la sola presenza di Ratatoskr, altro bel tenebroso. Rimane intatta anche la formula "Yattaman", tipica de La Ragazza Drago, cioè nemici ricorrenti che prendono calci o al limite piccole vittorie e la volta dopo ritornano con qualche altra trovata, il ciclo si ripete. Non c'è niente di male in questo, il tutto collabora alla sensazione di rendere questa saga un vero e proprio cartone animato, il che è una cosa assai positiva e abbastanza insolita nei romanzi. A non essere positiva è invece la parte leggendaria della trama, cioè gli accadimenti del passato su Draconia che si svelano. Non sono per nulla avvincenti e, a meno che i prossimi due incarnazioni dei Draghi non abbiano alle spalle storie particolarmente interessanti (magari più originali di banali tradimenti), risultano essere le parti più noiose del romanzo, mentre le esplorazioni nel presente, anche quelle che apparentemente sembrano inutili e fallimentari, risultano molto simpatiche, fresche, proprio perché la fantasia si sposa con il reale. Sentir partire la macchina d'epoca del professore è senz'altro più interessante delle menate leggendarie sull'Albero del Mondo: si è capito che è morto ma non del tutto, si è capito che si sono battuti Draghi contro Viverne. Basta, tagliare corto se non ci sono novità interessanti. Come c'è sentore ce ne siano nel terzo episodio: ci sono piccole cose che passano in secondo piano, ma le ragazze subiscono delle piccole mutazioni durante la trasformazione e stavolta è toccato a Lidja... cosa accadrà in futuro? La presentazione del romanzo è ancora una volta da dieci, senza lode solo perché i capolettera dei capitoli in "L'eredità di Thuban" erano senz'altro migliori del bambinesco draghetto che accompagna i titoli dei capitoli; inoltre il cartonato stavolta è palesemente di carta riciclata, mentre nel precedente era di qualità migliore: Patemi ecologisti a parte, resta il fatto che questo si rovina ai bordi, il precedente sembra ancora nuovo. Proprio del cartonato, ancora una volta, è bene sottolineare come sia decisamente migliore della sovracopertina. Solo una stranezza: nell'immagine del cartonato di "L'albero di Idhunn" si nota Sofia con un nuovo elmo che, da dorato (copertina "L'eredità di Thuban") diventa violaceo e con forma completamente diversa (assolutamente stupendo, ma meno originale, dai richiami nihaleschi), nel romanzo non c'è nessun indizio che faccia pensare a qualche evoluzione in merito.
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