La luce degli abissi

Le prime frasi del romanzo

PROLOGO

Dicono che si possa navigare per mille miglia lungo l'arcipelago della Miriade, dalle coste gelate delle isole a nord a quelle calde e lussureggianti del sud. Dicono che gli abitanti delle isole sono come i granchi rossi che scorrazzano sulle rive: coriacei, imprevedibili e a loro agio tanto nell'acqua quanto sulla terraferma.
Dicono che l'oceano intorno alla Miriade abbia una follia tutta sua. Fra i marinai si racconta di enormi gorghi che inghiottono le navi, e zaffate gelide dall'acre odore mefitico che schizzano in superficie e fermano il cuore ai nuotatori. Nubi nere che prendono forma all'improvviso, gorgogliando tra cieli tersi.
Dicono che esiste un regno oscuro di incubi che si cela sotto il mare propriamente detto. Quando l'Abissomare inarca la schiena, il mare al di sopra viene scosso da un furore improvviso.
Dicono che l'Abissomare, un tempo, fu la dimora degli dèi.
Si dicono tante cose della Miriade, e sono tutte vere.
Gli dèi sono esistiti davvero, come le coste e le correnti, inesorabili quanto i venti e i gorghi. Il Cardinale di Cristallo stritolava i galeoni con i suoi tentacoli trasparenti. Il Rosso Ramingo fluttuava come una nube di sangue nell'acqua. Kalmaddot ululava, con una griglia fatta di lame affilatissime al posto della bocca. Dolor si trascinava lungo i fondali su decine e decine di gambe umane. La Dama Arcana indugiava nelle profondità silenti, avvolta nel manto serpeggiante della sua stessa chioma. Di quando in quando uno di loro si levava dall'Abissomare e appariva alla pallida luce del giorno, fagocitando golette, riducendo in briciole interi porti, e marchiando il ricordo a fuoco negli incubi di tutti. Qualcuno di loro cantava, nel compiere la distruzione.
Per secoli gli dèi avevano dominato la Miriade incutendo soggezione e terrore, spartendosi il dominio sui vari gruppi di isole. Per placarli si gettavano nelle acque sacrifici umani, per invocarne la misericordia si dipingevano occhi imploranti sulle chiglie di ogni imbarcazione. Venivano riveriti, temuti e adorati.
Poi, senza alcun preavviso, le divinità erano entrate in guerra fra di loro.
Ci avevano messo una sola settimana – una settimana di maremoti e di devastazione – a massacrarsi a vicenda. Centinaia e centinaia di isolani avevano perso la vita. Alla fine non erano rimaste divinità viventi, soltanto le loro spoglie enormi che continuavano a riposare nelle profondità.
A trent'anni da questo Cataclisma, nessuno ancora ne conosce le ragioni. Gli dèi restano avvolti nel mistero, anche se la paura che incutevano comincia solo ora a scemare.
Dicono che un solo brandello di un dio morto, anche piccolo come una moneta, possa fare la fortuna di chi lo trovi, se i poteri che possiede sono curiosi e rari, e se si ha il coraggio di tuffarsi a recuperarlo.
Anche questo risponde a verità.