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Chiamami sottovoce - Nicoletta Bortolotti - copertina
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Chiamami sottovoce

Descrizione


Vincitore del Premio Letterario Alvaro-Bigiaretti 2019
Questa è la storia di un’amicizia interrotta e di un segreto mai svelato. Ma è anche la storia di come la vita, a volte, ci conceda una seconda occasione.


«L'amicizia tra una bambina di otto anni e un 'clandestino' di nove. Due esistenze che il caso unisce e il destino mette alla prova, in una vicenda forte e insieme commovente» - Robinson

«Il libro si svolge nel 1976. Ieri. Gli immigrati irregolari, allora, non erano africani ma italiani. Anche per questa piccola grande lezione di Storia, questo è un libro da non perdere» - Internazionale

«Un romanzo in cui tocca alla fantasiosa voglia di vivere dei piccoli farsi gioco della Legge: al loro sguardo, le celebrazioni dei confini appaiono in tutta la loro assurdità» - Valeria Parrella, Grazia

La mamma mi si è avvicinata sfiorandomi il bordo di un orecchio con il fiato.
“Mi raccomando, Michele, ricordati le regole. Nessuno deve sapere che sei qui. Se non fai il bravo viene a prenderti il poliziotto.”
Ho fatto segno di sì perché volevo che lei fosse contenta di me, che pensasse di avere un bambino ubbidiente, che rispettava le regole. Le ho ripetute una per una,
numerandole con le dita appoggiate sulla spalla di papà. Non era da tantissimi anni che avevo imparato a contare.
“Non devo fare rumore.”
Ho sollevato il pollice.
“Non devo piangere.”
Ho sollevato l’indice.
“Non… devo… ridere forte.”
Ho sollevato il medio, ma mi si è alzato anche l’anulare.
“Non devo fare chiasso quando gioco.”
“Bravo, così.”

È primavera, eppure la neve ricopre la cima del San Gottardo, monumento di roccia che si staglia sopra il piccolo paese di Airolo. La Maison des roses è ancora lì, circondata da una schiera di abeti secolari: sono passati molti anni, ma a Nicole basta aprire il cancello di ferro battuto della casa d’infanzia per ritrovarsi immersa nel profumo delle primule selvatiche ed essere trasportata nei ricordi di un tempo che credeva sommerso. È il 1976 e Nicole ha otto anni, un’età in bilico tra favole e realtà, in cui gli spiriti della montagna accendono lanterne per fare luce su mondi immaginari. Nicole ha un segreto. Nessuno lo sa tranne lei, ma accanto alla sua casa vive Michele, che di anni ne ha nove e in Svizzera non può stare. È un bambino proibito. Ha superato la frontiera nascosto nel bagagliaio di una Fiat 131, disegnando con la fantasia profili di montagne innevate e laghi ghiacciati. Adesso Michele vive in una soffitta, e come uniche compagne ha le sue paure e qualche matita per disegnare arcobaleni colorati sul muro. Le regole dei suoi genitori sono chiare: “Non ridere, non piangere, non fare rumore”. Ma i bambini non temono i divieti degli adulti, e Nicole e Michele stringono un’amicizia fatta di passeggiate furtive nel bosco e crepuscoli passati a cercare le prime stelle. Fino a quando la finestra della soffitta s’illumina per sbaglio, i contorni del disegno di due bambini stilizzati si sciolgono nella neve e le tracce di Michele si perdono nel tempo. Da quel giorno, Nicole porta dentro di sé una colpa inconfessabile. Una colpa che l’ha rinchiusa in un presente sospeso, ma che adesso è arrivato il momento di liberare per trovare la verità. Questa è la storia di un’amicizia interrotta e di un segreto mai svelato. Ma è anche la storia di come la vita, a volte, ci conceda una seconda occasione. Chiamami sottovoce è un romanzo potente su un episodio dimenticato del nostro passato recente. Perché c’è chi semina odio, ma anche chi rischia la propria libertà per aiutare gli indifesi.
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Dettagli

2018
3 maggio 2018
357 p., Brossura
9788869053122

Valutazioni e recensioni

Recensioni: 5/5

"Chiamami sottovoce" di Nicoletta Bortolotti narra le vicende di un bambino 'invisibile'. Una 'storia d'amore e pregiudizio'. Il romanzo prende le mosse dal naturale, triste evento della morte di una madre alla quale il Parkinson aveva annerito "...le cellule cerebrali come le caselle di un cruciverba senza schema..." e dal ritorno di una figlia, Nicole, nei luoghi dell'infanzia. La storia s'inquadra nell'ambito delle migrazioni che i popoli vivono, oggi come allora, per il più naturale dei motivi: la sopravvivenza. Ancora negli anni '70, una legge, frutto di una mentalità meschina, imponeva ai migranti verso la Svizzera di lasciare i figli prima della frontiera; il rispetto di questa regola veniva espletato con solerzia dacché "...un essere umano che deve applicare un regolamento può diventare più disumano di una macchina...". E' un timbro su un pezzo di carta a stabilire se una persona è "indesiderata": un eufemismo per comunicare che te ne devi andare perché sei 'terrone', salvo poi a ritenerti idoneo a romperti la schiena per lavori che altri non vogliono fare. Michele, 'clandestino' a soli nove anni, egli stesso afferma di essere "...del nord...", valorizzando lo stesso pregiudizio che lo tiene segregato; come afferma De Crescenzo, 'si è sempre meridionali di qualcuno'. La contraddittorietà del razzismo non disdegnava che ci fosse "...Il sottofondo di una romanza napoletana trasmessa alla radio al ritmo di un valzer lento...’Na sera ’e maggio...", oppure che, nello scavo della galleria: "...Oggi siamo avanzati di cinque metri e abbiamo festeggiato a taralli e vino portati da un napoletano, sai, quello che prima di lavorare per me girava nelle stazioni vendendo boccette vuote con l’aria del suo paese...". Nicole e Michele s'incontrano in "...un’età sbilenca...", sospesa tra favole e realtà. Michele è ossessionato dal sogno del poliziotto che lo porterà via e, anche se la mamma lo rassicura, la paura lo tormenterà lo stesso. Da adulto avrà la forza di mettersi in discussione nonostante i traumi di un isolamento forzato, portatore di guasti inconsueti per quell'età. Fra una marachella e l'altra i due bambini vivono segretamente la loro storia di armoniche dissonanze per la diversità che li caratterizza; il trauma dell'esclusione dal mondo scava nel profondo dell'anima di Michele, azzerando la sua autostima, mentre Nicole, per converso, gode del 'possesso' di quel amichetto che nessuno potrà portarle via; ciò alimenta un infantile senso di onnipotenza che la induce, fra l'altro, a sfidare le acque gelide di una fonte mentre "...Il tempo, annidato in quell’antro fresco, mi osservava, con la sua faccia di vecchio scorbutico, ma non sapevo niente di lui...". La natura fa il suo corso: "...L’ho guardata. Non riuscivo a distogliere il mio sguardo dal suo, mentre quella canzone dei Beatles mi metteva una voglia di cose irraggiungibili. Cose che non sapevo neanch’io..." Molte sono le domande, spesso senza risposta, che i protagonisti rivolgono a sé stessi, in un'indagine introspettiva che mette a nudo le fragilità e scopre le contraddizioni di cui sono vittime nel racconto dei tempi dell'infanzia e della realtà di adulti, ponendosi, fra l'altro, il limite: "...Ci siamo incontrati in un punto sbagliato della linea del tempo, nelle retrovie dell’adolescenza...". La struttura del volume si dipana in una non facile narrazione su due piani temporali, perfettamente fruibile, in un racconto dai termini raramente dialettali, frutto di radici profonde che legano i personaggi a quelle terre. Il racconto svolto da due voci narranti, viene corredato da una sorta di appendice su un terzo piano temporale; essa ricorda dell'aiuto che i valligiani, pur con tutti i difetti di un razzismo antico, diedero a chi dalla Svizzera coordinava, negli anni '30, le attività partigiane. Fanno da sfondo i genitori: padri impegnati nella sfida alla montagna, quasi che al mondo non ci fosse nulla di più importante; le madri: "...La mamma fingeva impaccio anche quando era convinta di quello che stava dicendo, poiché allora la sicurezza non era cosa per donne e non stava bene ostentarla..."; e l'altra mamma, che dopo essersi spaccata la schiena a servizio, cercava di incoraggiare, come sapeva fare, il suo figliolo; Delia, sposa superstite senza figli, innamorata dei bambini, del suo primo amore e del marito: "...Gli uomini prima o poi ti lasciano. Tutti...", che continuerà a nascondere gli oppressi; la galleria del San Gottardo che mieterà vittime fra quei diseredati che hanno fatto la storia del mondo. Il racconto di un pezzo di storia verosimile, sapientemente narrato con un linguaggio semplice ma forbito, talvolta poetico, da chi conosce le dinamiche infantili e non ignora le conseguenze che esse producono negli adulti, prigionieri di una memoria che si vorrebbe fosse altro da sé, nella finzione che non sia mai esisitita ma che ritorna puntuale nei sogni agitati e nelle scelte quotidiane. L'attualità del tema è, nei fatti di questi giorni, sotto gli occhi di tutti. Sembra che anche noi, da sempre discriminati, non esitiamo ad infliggere le stesse sofferenze che un tempo abbiamo patito. Qualche traccia autobiografica volorizza la drammatica bellezza della storia dall'epilogo imprevedibile. Arrivato alla fine della lettura, un senso di orfanità mi cattura e torno a leggerne qualche pagina elaborando tante altre riflessioni.

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Nicoletta Bortolotti

1967, Lugano

Nasce in Svizzera, ma vive in Italia. Laureata in Pedagogia, da molti anni redattrice Mondadori, autrice per ragazzi e per adulti, pubblica per le maggiori case editrici e collabora con il supplemento culturale de “La Provincia di Como” e con le riviste letterarie “Letteratitudine” e “Clandestino”. Ha pubblicato per Sperling & Kupfer Il filo di Cloe ed E qualcosa rimane, ora ripubblicato con Besa Editrice (premio Carver e premio Leonforte); per Mondadori Sulle onde della libertà (finalista al premio Bancarellino); per Einaudi ragazzi In piedi nella neve (premio Gigante delle Langhe e premio Cento), Oskar Schindler Il Giusto e La bugia che salvò il mondo. Per Harper & Collins Chiamami sottovoce (premio Alvaro Bigiaretti e premio...

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