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Progresso e catastrofe. Dinamiche della modernità
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1999
19 novembre 1999
Libro universitario
254 p.
9788882730161

Valutazioni e recensioni

MICHELE LAGANO
Recensioni: 5/5

Il saggio si apre con una meditazione sul tempo e sul significato della storia. Natoli analizza il "Secolo breve". “Breve” rispetto a eventi e processi che si sono susseguiti con un’accelerazione senza precedenti, travolgendo le tradizionali categorie storico-filosofiche della modernità: dal senso del sacro alla politica, fino all’affermazione del “postmoderno”. Ma che cosa caratterizzava la modernità? E quando e come è cominciato il suo declino? La risposta è chiara. Scrive Natoli : «se si vuole identificare in modo semplice e preliminare che cosa è moderno, lo si può riconoscere sotto la voce 'progresso', dato che il moderno si annuncia proprio come <<età del progresso»(p.23), infatti «La modernità si annuncia, nel suo inizio, come possibilità di un illimitato progredire»(p.25) Ora, il progresso rende il moderno riconoscibile rispetto alla tradizione che lo precede e contro cui nasce: il cristianesimo. Ma il tempo progressivo della “modernità” non coincide con il tempo apocalittico-escatologico del cristianesimo. Modernità, infatti, è sinonimo di secolarizzazione: «La parola saeculum - ricorda Natoli - equivale a 'vita mondana' e il saeculum è dunque il tempo del mondo.››(P.30) In tal senso, la “modernità” ha preteso di portare a compimento la storia, di dare davvero la felicità agli uomini, di non differirla nel tempo, come è evidente nel giacobinismo rivoluzionario e nel marxismo. Con quale esito? «Nel novecento il moderno perviene al massimo della sua accelerazione e ritiene di poter conquistare il futuro...Ma nel momento stesso in cui con un colpo di mano s'intende chiudere la storia, il futuro si mostra irraggiungibile, la pretesa di una sintesi totale si svela impossibile...L'impresa di dare una direzione compiuta alla storia si mostra vana. Ma è proprio nel vanificarsi di questa pretesa che il moderno dà libero corso all'altra sua anima: il progredire come apertura infinita e perciò "senza fine" e "senza meta"» (45-46). Dal disincanto ideologico nasce il post-moderno, opposto alla modernità perché sinonimo di "mancanza di orientamento"dell’uomo contemporaneo: «Le ideologie del progresso, oggi dileguate e le rivoluzioni, che hanno caratterizzato la tarda modernità, avevano come loro obiettivo la redenzione del tempo: il loro programma era muovere alla conquista del futuro. Progresso e rivoluzioni volevano inaugurare un avvenire inteso come tutto il tempo a venire, volevano inaugurare una durata illimitata, abitata da un'umanità liberata e felice. Gli uomini contemporanei, nell'evanescenza dell'idea di progresso, non intendono minimamente redimere il tempo. Per essi l'avvenire non è termine di una conquista... Gli uomini d'oggi… cercano di redimersi dal tempo. Di qui la fuga dalla concretezza del presente … L'uomo di oggi è chiamato a tenere testa all'improbabile, a dominare, per quel che può, la contingenza»(48). Paradossalmente,la "morte di Dio" genera nell’uomo contemporaneo un delirio di onnipotenza (per cui, per esempio, pensiamo che attraverso la scienza e tecnologia davvero tutto sarà possibile), e di insoddisfazione per un sentimento di ineliminabile incompletezza: l'uomo contemporaneo sa che non riuscirà a realizzare la perfezione nel mondo, e che l'evoluzione tecnologica è anche pericolosa e incontrollabile, e produce anche maggiore diseguaglianza sociale. E’ la catastrofe? «La "catastrofe" - spiega Natoli - può essere intesa in due modi. Nell'accezione corrente, di senso comune, catastrofe è sinonimo di rovina. Dopo la catastrofe non resta più niente o, quanto meno, niente di utilizzabile... Ma il termine catastrofe possiede un altro e più preciso significato: vuol dire, sì, rivolgimento, ma nel senso di "cambiamento di direzione", svolta. La catastrofe, così intesa, non significa passaggio al niente, bensì è sinonimo di trasformazione» (p.196). Allora, in questo secondo senso, catastrofe significa anche novità, avvento del nuovo: «Quando un'epoca raggiunge un punto elevato di instabilità, esce da sé. Ma non precipita nel vuoto. La fine del moderno - ad esempio - non consente più di interpretare la storia in termini di progresso, ma non abolisce affatto il tempo. E neppure la stessa storia. Essa pone le condizioni per una diversa esperienza della temporalità». (p.198) Ma quale può essere,oggi, questa forma nuova di esperienza della storia e di pensiero della politica? Come possiamo conciliare l'autoaffermazione del singolo individuo con l'autoaffermazione dell'uomo in generale, dell'umanità nel suo complesso? Nel quadro della dialettica tra l'emancipazione di tutti, e il successo dei pochi si può leggere la storia delle politiche sociali del secondo novecento, con il decisivo intervento "politico" dello Stato: «A fronte della pressione delle masse - scrive Natoli - i modelli liberali classici non hanno retto. Oggi si parla tanto di trionfo postumo del liberalismo. Se ne parla con una certa leggerezza. Il neoliberalismo contemporaneo ha un significato molto diverso dall'assetto liberale classico. Viene dopo il welfare - lo Stato del benessere - , dopo la grande egemonia laburista e socialdemocratica che ha caratterizzato la seconda metà del secolo... I modelli neoliberali avanzati, ad inclusione avvenuta (ma davvero è avvenuta?), sono ben diversi da quelli ove era altissimo il tasso di esclusione. E fino a che punto sarebbe stata possibile l'inclusione sociale senza l'intervento dello Stato? D'altra parte i grandi successi e la lunga durata del welfare sono stati possibili poiché questo modello di sviluppo ha realizzato l'inclusione sociale senza infrangere il quadro giuridico-istituzionale (libertà e rappresentanza) d'impianto liberale. Socialdemocrazie, liberalsocialismo e cattolicesimo sociale sono state le varianti di questo assetto» (208). Ma oggi anche il welfare e le sue politiche sono in crisi, e anche la forma-partito, che per queste politiche ha costituito la forma di rappresentanza, non pare più essere un mezzo efficace di inclusione sociale, non pare più capace di dare voce alle esigenze profonde dei contemporanei. Stiamo di fatto vivendo un transito in cui i valori tipici della modernità (eguaglianza e libertà) non riescono più a unirsi, si incontrano senza sintetizzarsi (vedi pp.226-227). E nemmeno ci sono più finalità chiaramente condivisibili, in quanto non esiste più un tempo unico in cui la Storia scorre, e tanto meno una direzione di tale scorrere, bensì tempi diversi per le diverse realtà, strutture, occupazioni, desideri. Il mondo, insomma, non è più sintetizzabile, è irrimediabilmente plurale: «Il contemporaneo pende sull'abisso...L'uomo non tocca mai terra; si trova sempre sulla frontiera» (pp.232-233) poiché nella società contemporanea occidentale l’esclusione sociale è un rischio reale: tanto meno accedi alle informazioni minimali necessarie per comprendere il sistema, tanto più sei escluso dalla sua gestione. Scrive infatti giustamente Natoli che «nella società contemporanea l'esclusione non è tale in termini di diritto, ma d'informazione. E la differenza d'informazione dipende da un impedimento non all'accesso alle fonti - gli uomini nella loro storia non sono mai stati così liberi - ma alla capacità del loro uso» (239-240). Forse questo sarà il problema politico per eccellenza del nostro futuro: la gestione, o se vogliamo il "buon uso", di una mole di informazioni non più dominabile. Di fronte alle possibilità ideali sterminate che i mezzi di comunicazione di massa ci offrono, come facciamo a trovare una sintesi, come facciamo a convincerci che "una" strada è quella migliore, e a sceglierla con determinazione? E' su queste considerazioni che si innesta l'etica del finito , che è insieme inevitabilmente un'etica che accetta consapevolmente il rischio dell'errore. (pp 247-248). E la logica adatta per dominare la contingenza è quella della congettura, bisogna allenarsi a ragionare così: «come cambia la mia condizione, se introduco una variabile "x" in quella data?» di Kasparov

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Salvatore Natoli

1942, Patti

Si è laureato in filosofia presso l'Università Cattolica di Milano. Ha insegnato logica alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università Ca' Foscari di Venezia, filosofia della politica alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano, filosofia teoretica all'Università di Milano-Bicocca e Storia delle idee all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.Tra le sue pubblicazioni: La felicità: saggio di teoria degli affetti (Feltrinelli 1995); Dizionario dei vizi e delle virtù (Feltrinelli 1997); La salvezza senza fede (Feltrinelli 2007); Nietzsche e il teatro della filosofia (Feltrinelli 2011);L'educazione alla felicità (Aliberti 2012); Perseveranza (il Mulino 2014); Il linguaggio...

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