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Anno edizione: 2017
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Un volume che chiarisce diversi punti su cui crediamo di sapere tutto, senza riferirci ai dati reali. Questi dimostrano, ad esempio, che la TV è ancora largamente il mezzo più usato per informarsi; che gran parte delle discussioni che avvengono sui social prendono l'avvio da notizie o fatti della televisione. Una parte notevole del libro è dedicata all'analisi della cosiddetta “post-verità” e agli strumenti per smascherare le “fake news”. Pur senza negare l'utilità del web per ampliare le proprie conoscenze, Pagliaro afferma anche il diritto ad essere sconnessi.
«Quod est post-veritas?» Chissà se Ponzio Pilato avrebbe potuto pronunciare questa frase dopo aver udito la narrazione delle gesta di quell'ennesimo profeta ebreo che però a differenza dei precedenti sembrava essere particolarmente odiato dalle autorità religiose locali. Diciamocelo: mentire è un'attività nella quale noi tutti siamo particolamente versati, ma in questi ultimi anni sembra che essa sia giunta a un livello ancora superiore, tanto che si è sentito il bisogno di coniare un nuovo termine di stampo orwelliano. Ecco che Paolo Pagliaro, in questo breve saggio, ci offre una panoramica di cosa è cambiato: i grandi attori di Internet come Google e Facebook hanno sottratto pubblicità ai media tradizionali che sono stati costretti a inseguirli nel propalare narrazioni - il famigerato storytelling - anziché fatti; nel frattempo la politica, che già di suo non è mai stata così amante della verità, si è gettata a pesce nel nuovo paradigma di (dis)informazione. Pagliaro ci fa notare come tutto ciò dipende in prima battuta dall'unica cosa che è rimasta costante se non in calo in questa epoca di ipertrofia dell'informazione: la nostra attenzione, che è quindi diventata un bene prezioso e viene catturata sparandole sempre più grosse nella speranza che noi ci fermiamo per qualche secondo in più (e vediamo qualche banner pubblicitario, ça va sans dire).
Recensioni
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