Narrazione coinvolgente, la trama passa in secondo piano rispetto al profilo psicologico dei due protagonisti che si svela via via durante il viaggio improbabile che li costringe a conoscersi, ma più ancora a guardarsi dentro. Davvero una piacevole scoperta
Sangue mio
Mancano pochi giorni alla fine della pena per rapina a mano armata e omicidio, quando Ulisse Bernardini riceve una lettera; è di sua figlia Gretel, una ragazza di vent'anni che lui non ha mai conosciuto, che gli chiede di poterlo andare a trovare in carcere. Ulisse è stato un bandito, un rapinatore di banche, affascinante, intelligente, elegante e amante della bella vita. Ora è un signore avanti con gli anni che si è abituato alla prigionia e che non vede davanti a sé alcun futuro. Gretel studia Antropologia, è cresciuta con la nonna e una madre affetta da disturbi mentali e da anni ricoverata in clinica: ora vive da sola e da cinque anni sa di essere malata della sindrome di Hallerworden e Spatz, una malattia degenerativa, al momento latente ma che può manifestarsi da un giorno all'altro portandola prima alla paralisi e poi alla morte. Nell'incontro, tra imbarazzo e trattenuta emozione, Gretel racconta al padre della sua malattia e gli chiede di accompagnarla in un pellegrinaggio al santuario di Maratea. Gretel ha bisogno di credere che il liquido che sgorga dalla roccia possa guarirla. Ulisse alla fine accetta di partire con la figlia: comincia così un lungo viaggio. E il viaggio li avvicina, a volte anche in modo drammatico. Il santuario era un espediente, il posto più lontano che Gretel aveva in mente per guadagnare tempo e conoscersi. In fondo a tanto viaggiare c'è una richiesta terribile. Ulisse non potrà dire di no.
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Anno edizione:2010
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GSK 12 dicembre 2021INTENSO
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Due estranei. Due estranei per i quali le parole “padre” e “figlia” sono solo parole. Ma le parole possono scavare nel profondo dell’anima e portare alla luce ferite atroci oppure carezze che valgono una vita intera. Parole e silenzi. Silenzi imbarazzati, tristi, sereni o complici ma anche i silenzi di chi si sta facendo domande che temono una risposta. E quando la risposta arriverà sarà impossibile nascondersi, scappare o invocare Divinità mai prese in considerazione prima. La risposta era lì, fin dall’inizio. Aveva solo bisogno di essere elaborata e accettata. Perché la voce del sangue può essere un grido d’amore disperato ma anche una condanna senza appello. Davide Ferrario ha saputo fare di questo libro una narrazione intima, profondamente emotiva ma non triste, anzi venata anche da momenti d’ironia. Inoltre scegliendo di alternare l’io narrante dei due protagonisti, un capitolo ciascuno, da modo al lettore di conoscere profondamente i due personaggi anche negli aspetti di sé che ognuno cerca di tenere nascosto all’altro. Nessuno di noi vorrebbe far conoscere fino in fondo la propria anima. Questo è l’Essere Umano. Ma può capitare che la vita decida che è arrivato il momento di fare una scelta e , di fronte a quella scelta, ci ritroviamo nudi e impotenti.
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