Un grande saggio giornalistico da leggere assolutamente. consigliato.
Il secolo breve 1914-1991
Quello che ci siamo appena lasciati alle spalle è stato un secolo di straordinario progresso scientifico e di guerre totali, di crisi economiche e di grandi periodi di rilancio e di benessere, di rivoluzioni nella società e nella cultura. Un "secolo breve" anche per l'accelerazione sempre più esasperata impressa agli eventi della storia e alle trasformazioni nella vita degli uomini. Eric Hobsbawm, nato nel 1917, affronta qui un compito arduo e affascinante anche per uno storico di fama mondiale e di sperimentate capacità scientifiche: delineare un panorama esauriente di un periodo che non ha solo studiato come ricercatore ma anche vissuto come uomo. Un libro fondamentale che è ormai universalmente riconosciuto come uno dei grandi classici della storiografi a contemporanea.
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Testo in italiano
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Giovanni 11 marzo 2022
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Il saggio di Hobsbawm deve la sua grande notorietà alla felice intuizione del titolo. Si tratta comunque di un capolavoro della saggistica. Non è propriamente un manuale di storia. E’ un grande “affresco” scritto, a mio avviso, con uno stile giornalistico. Nel senso che sembra un immenso articolo che descrive il Novecento in modo erudito ma, contemporaneamente, discorsivo. Questo rende la lettura piacevole e scorrevole ma, attenzione!, allo stesso tempo richiede una buona conoscenza dei fatti e delle situazioni per essere pienamente compresa. L’autore distribuisce spunti storici ed economico-politici, collegamenti artistici e culturali, escursioni temporali, paragoni geopolitici, ma ovviamente dà per scontato che il lettore sappia di ciò di cui si parla. Il punto di osservazione è evidentemente influenzato dalle opinioni dell'autore, ma nello stesso tempo è quello di uno storico che osserva i fatti descritti con uno sguardo ampio e "dall'alto". Mirabile, a questo proposito, la descrizione dei cosiddetti "anni di piombo" italiani, che oggettivamente hanno un'influenza nulla sul corso della storia, al di la' delle terribili sofferenze delle vittime e dei loro familiari. Il “secolo breve” è una denominazione efficacissima. Il Novecento si caratterizza, infatti, per un concentrato di eventi “da brividi”. La distinzione tra la prima fase (1918-1945) e la seconda (1945-1991) è più apparente che reale. Si tratta di due facce della stessa medaglia, quella del dominio delle grandi ideologie nella storia umana. Così com’è del tutto superata (e ciò è ormai riconosciuto da quasi tutti gli storici) la distinzione tra prima e seconda guerra mondiale. Si tratta in realtà di un unico gigantesco conflitto planetario, in cui il ventennio tra il 1918 e il 1938 non è stato altro che un periodo transitorio volto a preparare una distruzione ancora più terribile di quella condotta, in modo quasi incosciente, forse persino idiota, nel corso della cosiddetta Grande Guerra. Il “secolo breve” ormai è alle nostre spalle, ma se apriamo la finestra di casa e lo scrutiamo come se osservassimo un paesaggio, vedremmo ancora nitide le contraddittorie immagini di dolore e felicità, sentiremmo ancora vividi gli odori di morte e di festa, udiremmo ancora distintamente le urla di strazio e i canti di gioia. Osservare il “secolo breve” provoca un lancinante senso di sgomento. Non saprei se questa emozione è più forte quando si considera l’età della catastrofe (1914-1945), sicuramente gli anni più bui dell’intera storia dell’umanità: il solo pensare che i nostri nonni, ossia persone ancora vive nella nostra mente e nei nostri cuori possano aver vissuto una tal epoca fa star male. Oppure se il senso di sgomento è persino più intenso quando si considera l’età dell’oro (1945-1991), ossia gli anni del boom economico e quindi della diffusione del benessere e della democrazia, almeno nel mondo occidentale e in Italia: il solo pensare che i nostri figli probabilmente non potranno più avere un’epoca di pace e benessere come questa appena trascorsa produce angoscia. La speranza, a ogni buon conto, è una virtù che non possiamo che coltivare. Come dice Leo Valiani (citato da Hobsbawm all’inizio del libro) “il Novecento prova che la vittoria degli ideali di giustizia e uguaglianza è sempre effimera, ma, se si riesce a salvaguardare la libertà, si può, tuttavia, ricominciare da capo … non bisogna disperare, neppure nelle situazioni più disperate.”
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Il saggio di Hobsbawm deve la sua grande notorietà alla felice intuizione del titolo. Si tratta comunque di un capolavoro della saggistica. Non è propriamente un manuale di storia. E’ un grande “affresco” scritto, a mio avviso, con uno stile giornalistico. Nel senso che sembra un immenso articolo che descrive il Novecento in modo erudito ma, contemporaneamente, discorsivo. Questo rende la lettura piacevole e scorrevole ma, attenzione! allo stesso tempo richiede una buona conoscenza dei fatti e delle situazioni per essere pienamente compresa. L’autore distribuisce spunti storici ed economico-politici, collegamenti artistici e culturali, escursioni temporali, paragoni geopolitici, ma ovviamente dà per scontato che il lettore sappia di ciò di cui si parla. Il punto di osservazione è evidentemente influenzato dalle opinioni dell'autore, ma nello stesso tempo è quello di uno storico che osserva i fatti descritti con uno sguardo ampio e "dall'alto". Mirabile, a questo proposito, la descrizione dei cosiddetti "anni di piombo" italiani, che oggettivamente hanno un'influenza nulla sul corso della storia, al di la' delle terribili sofferenze delle vittime e dei loro familiari.
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