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Film corale che preannuncia l’ennesimo cambio di direzione della carriera di Paolo Virzì. Il regista toscano porta in scena una narrazione che vuole esorcizzare il nostro ultimo biennio fatto di vaccini e decisioni di governo parossistiche. La siccità del titolo è un modo per raccontare il lento incidere della vita di un manipolo di gente comune, di personaggi che cercano di arrivare a fine giornata, muovendosi in un presente distopico degno di America Oggi, di Robert Altman. Un presente fatto di assenza d’acqua e polizia che si muove a caccia di chi ne spreca, anche solo per lavare l’auto, o molto più semplicemente a caccia di chi ne spreca in eccesso. Cast stellare con ognuno dei personaggi in grado di portare un significativo mattoncino a una narrazione, che seppur corale, ricava per ciascuno un angolo recitativo degno di nota. Si va dall’evaso per errore, Silvio Orlando, che inizia un lento peregrinare in una capitale al collasso, alla ricerca di un telefono a gettoni necessario per ritrovare una ragazzina abbandonata molti decenni prima. Valerio Mastandrea, nel ruolo di un ex conducente di auto bluc costretto a riciclarsi nel ruolo di autista a chiamata di un auto che sembra reduce dall’attraversamento del deserto. Vinicio Marchioni e Claudia Pandolfi, avvocato e primario di pronto soccorso che s’ignorano quanto basta. Fino a Tommaso Ragno, attore di teatro dedito ai social, sposato con Mila, Elena Lietti, donna trascurata ed ex libraia e ora impiegata alle casse di un super mercato. L’elenco potrebbe proseguire e la conclusione delle rispettive narrazioni termina intrecciandosi con la vita di altri protagonisti e comprimari fino a una conclusione catartica e (forse) carica di speranza. Pellicola scritta e otto mani e che come detto segna un ulteriore cambio di registro per il regista Livornese ma unita come sempre alla sua produzione precedente per l’indubbia capacità di far riflettere chi vede.
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