È un piccolo libretto, 70 pagine, contenenti due scritti sul camminare. Il primo molto autobiografico, racconta delle uscite notturne dell'autore dopo un periodo di crisi esistenziale profonda: il camminare lo ha aiutato ad uscire da quella situazione e ritrovare se stesso. Però in alcuni tratti rusulta angosciante, e anche la citazione del salmo biblico alla fine non apre ad una prospettiva e visione positiva della vita ma conclude con un interrogativo dal tono nichilista. Il secondo scritto è una riflessione generale sulla vita partendo dalle esperienze di cammino, solitario e collettivo, dell'autore. Do tre stelle, voto medio, non mi ha convinto molto. Anche le conclusioni finali mancano, secondo me, di una prospettiva trascendente. Anche se pare dare una visione ampia delle questioni trattate, resta comunque in un contesto orizzontale e immanente. Manca l'unica prospettiva che può dare senso ad ogni cammino e vita: l'amore. Questa è l'unica risorsa che può attuare un cambiamento dell'umano, altrimenti siamo sempre a bisticciare se "dividere l'uovo dalla parte larga o da quella stretta" (o in diagonale, come sembra voglia suggerire l'autore, ma resta sempre lo stesso uovo), se si nasce per morire o per vivere, ma alla fine non c'è una vera prospettiva motivazionale forte. L'unico senso e risposta a tutto sta nell'amore ma qui non mi pare che questo elemento emerga in modo significativo.
Il sogno del cammino. Pensieri per oltrepassare i nostri confini
Questo piccolo e intenso libro raccoglie due scritti di Antonio Moresco sul cammino e contiene tante esperienze estreme e tanti anni di vita: il primo racconta i cammini metropolitani e solitari compiuti notte dopo notte durante l’arco di diversi decenni; il secondo è una riflessione più generale sul gesto di sconfinamento e parla dei cammini – anche di migliaia di chilometri attraverso l’Italia e l’Europa – compiuti da un gruppo di sconfinatori che si sono dati il nome di Repubblica nomade. Sono due modi opposti di camminare: il primo interiore, autistico, simile a una trance; il secondo vissuto come una trascendenza collettiva, un’impresa, una prova. Il primo è la testimonianza di un lungo dolore fronteggiato attraverso l’oltranza del cammino. Il secondo è una riflessione sulla potenza metamorfica del cammino. Per Antonio Moresco, non c’è opposizione tra i due modi di camminare: “nel camminatore collettivo c’è dentro il camminatore solitario, così come nel camminatore solitario c’è dentro il camminatore collettivo. Come se, anche quando cammino con altri, permanesse dentro di me una presenza nucleare irriducibile, inviolabile, irraggiungibile, e mentre cammino da solo camminassero dentro di me e attraverso di me tutti gli individui della mia e della nostra stirpe e persino i popoli che si sono forgiati attraverso migrazioni, esodi, diaspore.”
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AntonioP 22 luglio 2023
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