Flaiano è stato un grande critico teatrale. La sua lettura di Cechov non ha nulla di meno di quella che si può leggere in un'introduzione alle opere dello scrittore russo. La sua interpretazione degli spettacoli di Carnelo Bene resta un punto di riferimento per chi vuole scoprire i lavori di Bene. Il legame tra Brecht e la Germania ha lo stesso valore di quello, nel "Diario degli errori", di Mondrian coi Paesi Bassi: un legame che svela il realismo dietro la scrittura di Flaiano.
Lo spettatore addormentato
Chiunque si sia appisolato a teatro o durante un concerto – sostiene Flaiano – sa bene che è nel passaggio dalla veglia al sonno che «la rappresentazione o la melodia o il dialogo si liberano da ogni scoria»: in quei brevi istanti, insomma, si ha «lo spettatore perfetto». In realtà, nella sua lunga attività di critico teatrale, Flaiano è stato uno spettatore tutt’altro che ‘addormentato’: appassionato, semmai, vigile e sferzante. Come quando irride il repertorio blandamente ameno ed ‘evasionista’ dei primi anni Quaranta, denso «di buoni sentimenti, di gioia di vivere e di grossi stipendi», e così rispondente ai desideri del pubblico che – profetizza – «non è lontano il giorno in cui le commedie, all’Eliseo, sarà lo stesso pubblico a scriverle e a rappresentarle». E nel 1943 scriverà veemente: «Amo Shakespeare, Calderón, Molière che hanno lasciato centinaia di opere tuttora vive ma ammiro quei loro spettatori che pretesero opere tanto perfette con il loro enorme e sapiente appetito». Il fatto è che in un Paese dove è lecito essere anticonformisti solo «nel modo giusto, approvato», Flaiano è riuscito a esserlo sino in fondo, caparbiamente: che recensisse la «Salomè» di Carmelo Bene, il «Marat-Sade» messo in scena da Peter Brook o «Ciao Rudy» di Garinei e Giovannini. Senza mai dimenticare la vocazione satirica: dalla «Piovana» di Ruzzante a una rivista musicale di Terzoli e Zapponi, ogni spettacolo è un’occasione per appuntare il suo sguardo micidiale sulla nostra società, dove «l’uomo medio sente molto il ridicolo degli altri e pochissimo il ridicolo di se stesso», e «la mediocrità di un personaggio, purché largamente diffusa, suscita ammirazione». Talché la conclusione, folgorante nella sua preveggenza, non può essere che questa: «Abbiamo sostituito la pubblicità alla morale».
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Giorgio 27 dicembre 2024Da leggere
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