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Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2010
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In fondo rientra nei desideri di ognuno di noi lasciare un’impronta della nostra esistenza, perché così ci sembra di essere vissuti per qualcosa, di non essere stati solo un microscopico tassello della storia dell’Universo. Potrebbe essere l’idea base di questo romanzo di Marcello Fois e in parte lo è, ma non è l’unica chiave di lettura e nemmeno la più importante. Quel che intendo dire si potrà comprendere meglio leggendo quel che segue. Michele Angelo Chironi e Mercede Lai sono due figli illegittimi, senza genitori, e che vengono pertanto da una condizione di particolare disagio sociale che però li accomuna a tal punto che si legheranno per sempre con il matrimonio. Ci troviamo a Nuoro, alla fine del XIX secolo, in un’atmosfera che tanto ricorda più che i romanzi di Grazia Deledda, quelli di Giuseppe Dessì. E’ un mondo rurale, chiuso e spesso silenzioso, quello in cui si muovono i due protagonisti, con lui, che preso in affido da un fabbro vedovo e senza figli, diventa il padrone della fucina che ben presto lo arricchisce. Non sto a spiegare la trama, perché abbraccia un periodo di tempo che va appunto dalla fine del nostro secolo risorgimentale alla seconda guerra mondiale, e preferisco delineare ciò che mi è piaciuto e che non è poco. In questa vicenda, che è poi la storia di una famiglia, e non a caso il titolo è Stirpe, ben si può comprendere il significato di come il destino nella vita dia e come anche tolga, perché gioie e dolori saranno una costante dei Chironi. In questo contesto l’autore è bravo nel non cadere nella tentazione di muovere alle facili lacrime, eppure di occasioni ce ne sono tante, come la tragica morte dei due gemelli che avvia una serie di lutti tali da togliere ogni speranza. E invece no, Fois ci dice che si può perdere tutto, meno che la speranza, l’unica che consenta di proseguire, nonostante tutto. Ed è grazie a questo proposito di non cedere le armi che un giorno la vita opaca dell’ormai vecchio Chironi si illuminerà di quell’unica luce che possa ancora dare un senso alla vita. L’autore sardo, di cui prima non avevo mai letto nulla, è una piacevole sorpresa, perché in un ambito letterario in cui spesso si cerca invano di riempire il vuoto questo suo romanzo acquista una particolare rilevanza; di fatto Fois entra nella scia di un narratore che ho particolarmente apprezzato, vale a dire Giuseppe Dessì, purtroppo ai tempi nostri scarsamente conosciuto. Certo, si tratta di epoche diverse e anche la scrittura, pur avendo nello stile molto in comune, è differente, come pure la verve creativa, tanto più che Fois ha aggiunto la straordinaria invenzione di far parlare i morti con i familiari, facendo dire loro quello che in vita per un motivo o per l’altro non erano riusciti a comunicare. Per contro, e questo secondo me è l’unico difetto, non sempre, ma ogni tanto appare una certa verbosità, un trascinare un discorso oltre il già detto e che per questo si nota subito, ma si tratta di cosa da poco, se raffrontata con la bellezza dell’intera opera, un romanzo che parte lento, che non avvince da subito, ma che poi va in crescendo, pur in presenza di parti necessariamente poco veloci. Tanto per dare un’idea, ho impiegato non poco a leggere le prime venti pagine, ma poi è come se avessi premuto il piede sull’acceleratore e in poche ore sono arrivato alla fine, con l’ultima pagina che non può non commuovere, ma non è una commozione triste, è una commozione lieta nel vedere che quest’uomo, così provato duramente dai lutti familiari e che si è sempre battuto contro la malasorte, trova un motivo per vivere, in un autentico colpo da maestro che Marcello Fois ha saputo preparare con grande abilità. E per quanto ovvio, nelle vicissitudini di questa famiglia, c’è anche un po’ di storia d’Italia, una storia che nell’isola appare sempre lontana, come se gli avvenimenti del mondo avvenissero su un altro pianeta e lì ne arrivasse solo l’eco. Da leggere, ovviamente.
Libro forte che scava nelle pieghe del dolore e della vita in modo suggestivo, emozionate ma lucido. I personaggi che si stagliano in quella Sardegna aspra, brulla ma profumata e magica sono a tutto tondo, completi e complessi formando di quella famiglia Chironi un “unicum" plasmato sulle eterne vicende della natura umana: speranza, lavoro, benessere, felicità ma anche e soprattutto sofferenza; una grande sofferenza di fronte alla quale molti componenti della famiglia non resistono e soccombono! Un ottimo testo, forse migliore del pur bello “Nel tempo di mezzo”.
Un romanzo dal forte impatto, si viene catapultati in una Sardegna di fine 800 ed in particolare nella vita dell'umile famiglia Chironi. Una famiglia di lavoratori colpiti da una serie di disgrazie eppure mai pronta ad arrendersi perché la vita concessa è un dono a cui non si può rinunciare. Appare evidente che è impossibile non immedesimarsi nei personaggi ed immaginare insieme a loro un mondo migliore. Lo scrittore passa da un tono rude ad uno sognante, da una pagina di lacrime ad una che lascia un sorriso ed una speranza. Fluido e appassionante, lo consiglio.
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