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Tutte le anime - Javier Marías - copertina
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Tutte le anime

Descrizione


« Tutte le anime è la storia di un turbamento». Javier Marías


«Piú che un vero e proprio romanzo, Tutte le anime potrebbe essere definito come una resa dei conti esistenziale, come un penetrante diario pubblico dell’intimità dove ogni dettaglio viene indagato con l’acribia minuziosa dell’entomologo, nella convinzione che anche il gesto e l’incontro apparentemente piú insignificanti possono aprire la strada a vertigini metafisiche». Franco Marcoaldi, «la Repubblica» Anni Ottanta. Un giovane professore spagnolo capita quasi per caso a insegnare nel college di Oxford All Souls (nome che dà il titolo al romanzo). Inizia cosí per lui un biennio di rocambolesche avventure per vivere i ruoli di professore, amico, marito e amante, in una storia ricca di intrighi, che lascia spazio a profonde riflessioni sull’esistenza e a minuziose descrizioni di ambienti e personaggi. Mistero, colpi di scena, pettegolezzi piccanti e sofferte esperienze d’amore, etero e omosessuali, caratterizzano le pagine di questo romanzo dal ritmo incalzante, alternando il senso del tragico al puro divertimento.

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Dettagli

2006
Tascabile
25 gennaio 2006
222 p.
Todas las almas
9788806179588
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Indice


Le prime frasi del libro:

Due di loro tre sono morti dopo che ho lascito Oxford, è ciò mi fa pensare, in maniera superstiziosa, che forse hanno aspettato che io arrivassi là e che ci consumassi il mio tempo per darmi l'occasione di conoscerli e perché adesso possa parlare di loro. Può darsi, perciò, che - sempre in maniera superstiziosa - io sia obbligato a parlare di loro. Non sono morti fino a quando io non ho smesso di frequentarli. Se fossi rimasto nelle loro vite e a Oxford (se fossi rimasto nelle loro vite in maniera quotidiana), forse sarebbero ancora vivi. Questo pensiero non è soltanto superstizioso, è anche vanitoso. Ma per parlare di loro devo anche parlare di me, e del mio soggiorno nella città di Oxford. Anche se colui che parla non è lo stesso che era là. Lo sembra, ma non è lo stesso. Se chiamo me stesso io, o se uso un nome che mi accompagna da quando sono nato o con il quale alcuni mi ricorderanno, o se racconto cose che coincidono con cose che altri potrebbero attribuirmi, o se chiamo la mia casa la casa che prima e dopo altri hanno occupato ma che io ho abitato per due anni, è soltanto perché preferisco parlare in prima persona, e non perché io creda che sia sufficiente la facoltà della memoria perché qualcuno continui a essere lo stesso in tempi diversi e in spazi diversi. Colui che qui racconta quel che vide e quel che gli capitò non è colui che lo vide né colui al quale capitò, e neppure è un suo prolungamento, una sua ombra, un suo erede, un suo usurpatore.
La mia casa aveva tre piani ed era piramidale, e vi trascorrevo molto tempo, dato che i miei impegni nella città di Oxford erano praticamente nulli o inesistenti. A dire il vero Oxford è, senza dubbio, una delle città al mondo in cui si lavora meno, e vi è molto più decisivo l'esserci anziché il fare o anche l'agire. Essere lì richiede tale concentrazione e tale pazienza, e richiede tale sforzo il lottare contro il naturale illetargirsi dello spirito che sarebbe un'esigenza spropositata pretendere che in più i suoi abitanti si mostrino attivi, soprattutto in pubblico, sebbene alcuni colleghi fossero soliti eseguire i loro spostamenti sempre di corsa per suscitare l'impressione di andare perpetuamente di fretta e di essere estremamente occupati negli intervalli tra lezione e lezione, le quali, tuttavia, si erano o si sarebbero svolte nella tranquillità e nella quiete più assolute, in quanto parte dell'essere e non del fare e neppure dell'agire. Così era Cromer-Blake e così era l'Inquisitore, chiamato anche il Macellaio e lo Squartatore e il cui vero nome era Alec Dewar.
Ma chi negava tutti quei simulacri di agitazione e dava corpo e verbo alla staticità e alla stabilità del luogo era Will, il vecchio portiere dell'edificio (Institutio Tayloriana, così detto pomposamente in latino) in cui ero solito lavorare con tranquillità e nella quiete. Non ho mai visto uno sguardo così limpido (di certo non nella mia città, Madrid, dove non esistono sguardi limpidi) come quello dell'uomo di quasi novant'anni, sottile e tirato a lucido, vestito invariabilmente con una specie di tuta blu, al quale era permesso rimanere molte mattine nella sua guardiola a vetri e dare il buongiorno ai professori man mano che entravano. Will non sapeva letteralmente in quale giorno vivesse, e perciò, senza che nessuno potesse prevedere la data da lui scelta e tanto meno sapere che cosa la determinasse, trascorreva ogni mattina in un anno diverso, viaggiando aventi e indietro per il tempo secondo la sua volontà o, meglio, probabilmente senza la sua volontà. Certi giorni, più che credere di essere, era davvero nel 1947, o nel 1914, o nel 1935, o nel 1960, o nel 1926, o in qualunque altro degli anni della sua lunghissima vita. A volte si poteva intuire se Will si trovava in un brutto anno da una leggera espressione di timore (era un essere troppo puro perché in lui trovasse spazio l'inquietudine, in quanto assolutamente privo di senso del futuro, sempre associato a quel sentimento) che tuttavia non riusciva mai a oscurare il suo sguardo fiducioso e allegro. Si poteva immaginare che per lui una mattina del 1940 fosse dominata dalla paura dei bombardamenti della notte precedente o di quella che sarebbe venuta, e che una mattina del 1916 potesse trovarlo un po' demoralizzato a causa delle cattive notizie che arrivavano dall'offensiva della Somme, e che una del 1930 lo avesse ridestato senza un penny in tasca e con gli occhi interrogativi e timidi di chi deve chiedere un prestito e non ha ancora deciso a chi. Altri giorni il leggerissimo appannarsi del suo immenso sorriso o del brillare del suo sguardo così premuroso appariva del tutto indecifrabile - neppure oggetto di affabulazione - perché senza dubbio era dovuto ad avvilimenti e dispiaceri della sua vita personale, che non avrebbero mai interessato nessun alunno e nessun professore. In quel continuo viaggiare lungo la sua esistenza, quasi tutto era insondabile per gli altri (allo stesso modo dei ritratti di secoli passati o di una fotografia scattata l'altro ieri). Come potevamo sapere in quale dolente giornata dei suoi numerosi giorni si trovava Will quando lo vedevamo salutare appena con un mezzo sorriso anziché con il gesto entusiasta delle date allegre o anche soltanto neutre? Come sapere quale tratto malinconico del suo interminabile tragitto stava percorrendo quando non alzava la mano con gesto infantile come succedeva nei giorni buoni?

Valutazioni e recensioni

Recensioni: 3/5

Dopo avere letto, come primo libro, Un cuore così bianco ho deciso di immergermi nella lettura delle anime. Troppo alto il livello (stupefacente per il livello contemporaneo della letteratura) per non aver timore di incorrere in una delusione. Ancora una volta, invece, Marias colpisce diritto al cuore ed alla testa con pagine di livello magistarale. In un'epoca in cui tutti hanno smania di raccontare e parlare e parlarsi addosso (chissà poi di cosa...) splendida è la sua non trama, il fluire del racconto attraverso impressioni e memorie, immagini ed emozioni. I colpi di scena sono tutti nelle parole. Alcune pagine sono memorabili, alcuni personaggi rimangono in testa anche dopo molto tempo. Tuffatevi nella lettura per capire la differenza tra uno scrittore ed uno che mette insieme le parole con la penna (come sto facendo io...). E' magistarale la capacità di raccontare senza colpi di scena, senza affastellarsi di avvenimenti; eppure una volta iniziato risulta impossibile staccarsi dalla pagina. Da leggere, rileggere ed ancora leggere gustando, distillando ogni parola. Consigliato a chi pensa che sui rapporti amorosi tra persone sia già stato detto tutto. Forse tutto si è già detto o scritto...fa la differenza il modo in cui lo si dice. Ho letto un libro di questo autore per caso ed è diventato uno dei miei scrittori preferiti.

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Sonsoles García-Albertos
Recensioni: 4/5

Il primo successo (in Spagna) di Javier Marias. In questo libro ci racconta la vita di un lettore di spagnolo ad Oxford. Il proprio scrittore ha fatto questo mestiere da giovane e il libro ritratta la città e alcune delle persone che lui ci ha trovato negli anni ottanta. Il suo stilo di scrittura pieno di lunghe frase già si vede ma ancora non ci stanca come succede a volte con i suoi ultimi libri.

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Javier Marías

1951, Madrid

Javier Marías è stato uno scrittore spagnolo. Nato da da una famiglia di intellettuali anti-franchisti, si laurea all'Università Complutense di Madrid, è considerato uno degli esponenti più significativi della generazione contemporanea. Esordisce nel 1971 con Los dominios del lobo, un romanzo atipico nel quale trasforma in opera narrativa 85 pellicole cinematografiche nordamericane visionate durante una permanenza a Parigi nel 1969. La rottura con la tradizione letteraria spagnola e il desiderio di sperimentalismo sono ancora più marcati in El monarca del tiempo (1978) e El siglo (1983), anche se il suo stile si consoliderà con L’uomo sentimentale (1986, vincitore del Premio Herralde de Novela), romanzo centrato sul tema dell’amore...

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