La storia inizia dal 1940, quando la protagonista ha solo 7 anni, una vita serena e l'innocenza a offuscarle la vista. Lei, il cui vero nome è Inge Brigitte, e i suoi fratelli non sanno di vivere accanto a un campo di concentramento, che le persone che lavorano in casa sono prigionieri, ma soprattutto non sanno che il padre, Rudolf Höss, è il comandante di Auschwitz. A 17 anni prende il nome di Rosamund e fugge a Madrid, dove conosce Cristóbal Balenciaga, che la rende una delle sue indossatrici. Non rivelerà la sua vera identità neanche a suo figlio. Il libro mi è piaciuto molto, poiché si vede tutto il lavoro di ricerca compiuto da Simona Dolce, che è stato davvero meticoloso. Mi ha colpito particolarmente come la protagonista, anche da anziana, non voglia ammettere chi fosse in realtà suo padre, una figura che da bambina era per lei come un idolo. Fa ragionare su quanto la visione che abbiamo da piccoli possa essere importante, anche per definire il nostro "io" futuro. A volte non riusciamo a uscire da uno schema che abbiamo creato per proteggerci, e siamo disposti anche a mentire a noi stessi per non affrontare i fatti. Non conoscevo questa figura controversa e interessante, ed è stato davvero intrigante scoprire la sua storia un po' alla volta.
Il vero nome di Rosamund Fischer
Libro presentato da Filippo La Porta nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega 2025.
Simona Dolce, grazie a un'accurata documentazione storica, ci racconta una figura femminile inedita e controversa, intrappolata nelle menzogne e incapace di ricucire i propri ricordi con la memoria della più grande tragedia del Novecento. La sua scrittura nitida e acuminata scandaglia le ambiguità di una famiglia illusoriamente perfetta, ci interroga sulle infinite maschere che il male può indossare nel quotidiano e su come la dedizione verso un mondo ideale, grande quanto una villetta con giardino, possa diventare un'ossessione accecante e crudele.
«Eppure, c’era qualcosa che mi faceva spavento, come la natura imprevedibile degli animali. E di nuovo me ne vergognai all’istante. Mi ammonii. […] Andare a letto, chiudere gli occhi e farmi i fatti miei, avrei dovuto fare quello. Senza ombra di dubbio. Ma non potevo.»
Rosamund Fischer ha ottant'anni e vive ad Arlington, in Virginia. Un giorno squilla il telefono e la voce di un uomo pronuncia il suo vero nome, Inge Brigitte. La donna si trova catapultata nel 1940: in Europa infuria la guerra, e Inge Brigitte e i suoi fratelli trascorrono un'infanzia idilliaca. Ma è davvero così perfetta? I bambini non sanno di vivere accanto a un campo di concentramento; non sanno che le domestiche, il giardiniere, le sarte, il barbiere sono tutti prigionieri; non sanno che il padre, Rudolf Höss, è in realtà il comandante di Auschwitz. All'età di diciassette anni, Inge Brigitte decide di scappare dal suo nome e dalle macerie della Germania postbellica; assume una nuova identità, quella di Rosamund Fischer, e si trasferisce a Madrid, dove diventa indossatrice per Cristóbal Balenciaga, il più grande couturier del mondo. Frequentando l'alta società, incontra l'uomo che sposerà e con cui si stabilirà negli Stati Uniti. Dopo tanti anni trascorsi a crearsi una vita diversa, lontana dai riflettori della storia, il passato bussa improvvisamente alla sua porta e lei decide di svelare, per la prima volta, la sua verità. Chi è nel profondo quella donna, è Rosamund o è ancora la piccola Inge Brigitte?
Proposto da Filippo La Porta al Premio Strega 2025 con la seguente motivazione:
«Il vero nome di Rosamund Fisher (Mondadori) di Simona Dolce è un romanzo teso, intenso e raggelato, basato su accurata documentazione storica, che racconta la biografia della figlia di Rudolf Höss, comandante ad Auschwitz: prima bambina nella villa “spettacolare” accanto agli orrori del campo, poi in fuga verso la Spagna (dove farà la modella) e infine negli Stati Uniti per cominciare un’altra vita. Qui la ritrova un giornalista, lei accetta di incontrarlo e di raccontarsi. È in parte la stessa storia della Zona d’interesse, film premiato a Cannes e ispirato a un libro di Martin Amis, ma pensata e realizzata da Simona Dolce parallelamente e attingendo anche ad altre fonti. Rispetto al film, rigoroso e asceticamente piatto, l’autrice mette al centro lo sguardo della bambina – tremante, stupito, l’unico che si interroghi criticamente – mostrandosi così più empatica e impegnata in una introspezione psicologica. Il mantra paterno rivolto alla figlia – “le cose che accadono di notte non accadono” – è l’invito sinistro a una rimozione che dovrebbe proteggere il falso idillio di quella “vita felice” ai confini del Lager. Ritmo avvincente del racconto e interrogazione sulla ordinarietà del male si tengono in ogni pagina: fallacie della memoria, nuda resistenza dei “fatti” a ogni manipolazione, attrazione del sadismo (il diritto del potere all’impunità), conflitto tra affetti e giudizio morale, identità come recita ingannevolmente liberatoria (“siamo tutti anche qualcos’altro”, le dicono in Spagna dove lei pensa a sé in terza persona, come se fosse un’altra). Unica utopia è il bucaneve che in inverno annuncia la primavera, con i suoi petali bianchi “imbevuti di una goccia di sole”: una utopia che neanche Primo Levi voleva escludere nei regimi fondati sul terrore. Non si tratta solo di un romanzo, immaginativo e documentatissimo, sulla Shoah. La sua narrazione preme, ansiosamente, sulle nostre coscienze. Anche noi, benché puntualmente informati su ogni evento del presente, viviamo dentro i nostri confortevoli stili di vita davanti a un muro invisibile che ci protegge dalle grida lontane intorno a noi e dalla cenere della Storia.»
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Anno edizione:2024
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Moana Martinez 09 aprile 2025Un personaggio di cui non conoscevo la storia
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