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Anno edizione: 2022
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Dostoevskij diceva che il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni. Quindi, stando a questa massima, possiamo tranquillamente affermare che il nostro non sia un paese civile, nonostante i "pregiudizi" sulle carceri d'oro e i detenuti "eccellenti". Questo testo propone un'idea forte: l'abolizione del carcere, non tanto come unico, o principale, strumento di pena, basandosi sul fatto che la reclusione in generale e l'ergastolo in particolare non siano in grado di garantire né la sicurezza sociale né la rieducazione dei carcerati. I dati sulla recidiva non mentono, anche se fermi al 2006, mostrano che chi ha avuto la possibilità di accedere a misure alternative al carcere ha una recidiva estremamente inferiore rispetto a chi è stato recluso. Purtroppo nel dibattito pubblico il tema del sovraffollamento delle carceri e del disagio psichico dei carcerati è assente e, quando non si può fare a meno di affrontarlo lo si fa con indulti ed amnistie, cioè interventi, limitati e privi dell'organicità delle riforme di sistema, strettamente funzionali a ridurre il sovraffollamento penitenziario per adempiere alle prescrizioni imposte dalla Corte Edu. È più facile reprimere che educare e direi che è anche più comodo. Le pene non detentive dovrebbero rappresentare la soluzione da preferire in linea generale, riservando la prigione ai soli reati non punibili altrimenti, commessi da soggetti la cui pericolosità sociale ne giustifichi una detenzione temporanea. Volendo aprire un dibattito il volume propone un decalogo per arrivare progressivamente all'abolizione del carcere, io mi accontenterei, visti i tempi, dell'abolizione dell'ergastolo a partire da quello ostativo ma, capisco, che dire che questo comporterebbe maggiore sicurezza per i cittadini sia un ragionamento controintuitivo e, perciò, molto difficile da far apprezzare alla maggioranza dei cittadini.
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