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Anno edizione: 2018
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Presentazione del romanzo “Con gli occhi di Arianna” al Circolo Art-Lab. Il romanzo di Paolo Massimo Rossi “Con gli occhi di Arianna” a mio avviso può essere definito – pur con tutti i limiti di una qualsivoglia definizione – un romanzo sentimentale, a patto che s’intenda “sentimentale” non nell’accezione usuale di “sdolcinato”, “languido”, e che, come tale, intercetta il gusto di lettrici possibilmente incolte. Ma nel senso che tratta coraggiosamente – in un’epoca di generalizzato analfabetismo emotivo - di sentimenti ed emozioni, di desideri e sogni che la protagonista del romanzo inseguirà lungamente. Fino a quando, donna ormai matura, ”smetterà di rivivere le immagini di un passato illusoriamente teso a costruire la felicità del poi” e imparerà quindi a riconoscersi e accettarsi per quella che è, nella consapevolezza duramente acquisita dell’incommensurabilità tra sogno e realtà, ideale e reale. D’altronde, sin dall’adolescenza Arianna “sentiva il peso di un’amara coscienza: non sarebbe diventata il suo sogno”. Ma ciò che subito sorprende - e per un attimo disorienta il lettore - è l’architettura del romanzo, accostabile, a mio parere, ad una serie di opere dell’artista olandese Escher, pur con le dovute differenze: laddove in Escher sono le dimensioni spaziali ad apparire intercambiabili, per cui il sotto si ribalta nel sopra, la superficie nella profondità, l’alto nel basso. Nel romanzo sono le dimensioni temporali – passato, presente e futuro – a ribaltarsi l’uno nell’altro, con un passato mai completamente trascorso e che insiste e agisce anche prepotentemente nel presente e con un futuro che trova la sua trepidante anticipazione in progetti, desideri e sogni continuamente accarezzati, ma solitamente frustrati, in una specie di danza circolare in cui inizio e fine vengono a coincidere. Non è un caso, infatti, che il romanzo, formando un anello narrativo, si apra e si chiuda con la stessa scena. Scena cruciale per la svolta che imprime alla vita della protagonista: lei che legge la lettera, vero capolavoro d’ipocrisia maschile, con cui il suo amante segreto, Panfilo, si congeda elegantemente da lei, addossandosi apparentemente ogni colpa per la fine del loro amore, in realtà accusandola, seppur larvatamente, di essersi lei per prima disamorata di lui. In effetti, il tempo della narrazione non si svolge in senso cronologico da una situazione iniziale a una finale, ma si snoda lungo due linee separate che tendono via via ad avvicinarsi fino a ricongiungersi, una volta consumato definitivamente lo scarto temporale che le distanziava: la prima, quella del passato che dall’infanzia di Arianna procede verso le successive fasi evolutive dell’adolescenza e della giovinezza in una sorta di percorso formativo; la seconda, quella del presente che vede Arianna ormai disincantata, inquieta e smaniosa di evadere da un ménage coniugale asfittico. L’abile espediente narrativo di sdoppiare la storia della protagonista in due linee temporali risulta quanto mai funzionale a un confronto serrato, faccia a faccia, come in uno specchio, tra l’Arianna del passato e quella del presente. Confronto che può così meglio focalizzare quelle dinamiche, a volte contraddittorie o confuse, sortite nella donna che è, arrivando a reintegrare in sé l’altra Arianna - pur prendendone le dovute distanze - nell’intento di pervenire ad una sempre maggiore autonomia psichica. Ripercorrendo insieme col narratore onnisciente la storia di Arianna da un’ottica più ravvicinata: la scopriamo ancora bambina, apparentemente docile, ma già alla ricerca di “vie di fuga verso un altro orizzonte, che le appariva come la porta del mondo”, quando ripetutamente percorre in bicicletta la bianca stradina - metafora della sua vita – che collega la sua casa con i luoghi circostanti. In realtà, è una bambina profondamente frustrata nei suoi bisogni affettivi: da una madre, intenta solo a rimbrottarla e a raccomandarle ossessivamente “di stare lontana dai maschi, coprirsi le ginocchia con la gonna, indossare calzettoni in modo che non si veda un lembo di pelle, quasi a prefigurare obbligatori pudori”, preoccupata insomma “di ricreare in lei, in sua figlia, la propria immagine di donna per bene”; e da un padre che, col suo comportamento avaro di parole e gesti affettuosi - di cui Arianna avvertirà sempre struggente rimpianto - condizionerà pesantemente la sua futura vita sentimentale. E infatti, Arianna finirà a sua volta per chiudersi in una rigida corazza dentro cui custodire gelosamente la sua intimità; fatta eccezione per la breve ma appassionata relazione con Panfilo, il suo unico grande amore e, nel contempo, la sua delusione più grande. Adolescente sognatrice e ribelle, quindi giovane donna esile ed elegante che spicca tra gli amici per intelligenza e ironia, Arianna diventa sempre più insofferente dell’ambiente familiare e non fa altro che sognare di fuggire dai controlli e dalle imposizioni di una educazione alienante. L’inevitabile dissidio con i genitori, seguito da un graduale e doloroso distacco, si manifesta nel rifiuto del modello di donna che avrebbero voluto imporle e nelle scelte di vita che essi certo non avrebbero approvato. Intanto, un altro dissidio la lacera dal di dentro: quello tra anima e ragione, testa e cuore che non riescono ad armonizzarsi, compromettendo l’unità della sua personalità. Il dissidio finirà per acuirsi all’interno dell’asfittico ménage coniugale, inizialmente percepito come un porto sicuro dove proteggersi anche dal lato oscuro di sé stessa, ben presto come una gabbia soffocante da cui evadere. Di qui l’abitudine di dissimulare la sua indifferenza e la sua noia sotto una coltre di bugie, arrivando a disattendere il dettato kantiano che da sempre la affascina. Fino alla coraggiosa e sofferta decisione di separarsi dal marito, cui più niente la lega, per riappropriarsi del diritto all’indipendenza economica, accettando di lavorare nella libreria della sua carissima amica Francesca, nonché alla libertà, intrattenendo rapporti banali e insignificanti, che escludano perentoriamente qualsiasi coinvolgimento emotivo e sentimentale e che, in definitiva, fungano da antidoto all’amore. A quell’amore che le aveva procurato un vero e proprio trauma da abbandono. In effetti, anche questa presunta liberazione di Arianna si profila come un vero e proprio scacco esistenziale, in quanto esige la rinuncia, se non il tradimento, del suo sogno più grande e quindi di se stessa: “la fusione che avrebbe voluto perfetta tra sentimento e ragione, vigile coscienza e possibilità di totale abbandono”. Viene il sospetto che il suo sogno dell’unità della personalità, dell’animus e dell‘anima per dirla con Jung - ben simboleggiata dal mito platonico dell’androgino - sia inevitabilmente destinato al fallimento. E ciò in quanto la natura umana è contraddistinta da una costitutiva mancanza: quella che Lacan chiama “manque à etre”. Arianna dovrà prendere atto che “la speranza della felicità non può essere un modo di qualificare e prefigurare una condizione finale dell’esistenza, ma solo un altalenante tendere alla comprensione di sé”. Anna Maria Dragani
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