Edito nel 2016, questo libro, costituisce una interessante raccolta di saggi politici, del filosofo politico francese E. BALIBAR. Tutti gli scritti, piuttosto recenti, formano una panoramica esaustiva delle principali problematiche che sta vivendo l'Unione Europea. Il discorso filosofico e politico dell'autore parla innanzitutto della necessità di una maggiore giustizia sociale europea, attraverso una democratizzazione integrale dei processi costituenti una nuova Europa, per una altra Europa. Ogni livello decisionale attuale viene decostruito nel senso di evidenziare una scarsa trasparenza politica, e una mancanza di parlamentarismo forte che dia credito a una cittadinanza europea in cerca di una vera rappresentanza. La crisi drammatica della Grecia, viene presa ad esempio su tali necessità. Sul fronte delle nuove migrazioni in Europa, l'autore illustra con dovizia le problematiche nascenti nei vari paesi europei, e i pericoli nefasti di un rinnovato nazionalismo e della discriminazione razziale. Su tale argomento vengono illustrate idee illuminanti, per uscire da una impasse europea senza precedenti. La parte debole del libro, se così si può dire, è rappresentata da una visione così detta regolativa delle problematiche economiche e finanziarie. Nonostante tale visione sia per un certo verso la visione più equilibrata, nella realtà delle cose, sembra essere stata sino ad ora molto poco adeguata. Purtroppo la teoria della regolazione del capitalismo globalizzato, non sta trovando alcun punto fermo da cui poter ripartire per una nuova "federazione" europea. E questo a maggior ragione nel campo economico e finanziario. Proprio la stessa crisi della Grecia, cioè del suo debito statale, ha mostrato quanto una forma regolativa e di controllo quale è quella del bilancio statale, non sia riuscita a tenere le spinte politiche di governo ultra liberali, che in maniera manifesta, hanno inficiato negli anni qualsiasi ordine istituzionalizzato prestabilito. Non vi è all'origine solo una problematica di natura economica e finanziaria, il così detto capitalismo selvaggio, ma anche una di natura prettamente politica, che è andata nella direzione opposta a una qualsiasi forma di regolamentazione strutturale. In altre parole, possiamo dire che nonostante i bilanci statali rappresentino una forma regolativa piena, non si è verificato nessun punto fermo sui debiti statali, al di fuori di pochissimi paesi europei. Perciò la teoria della regolazione sembra più un palliativo teorico, che una soluzione anche parziale della realtà sociale. Il ruolo economico dello stato, è preponderante su quello politico, ma la politica, anche quella praticata nell'Unione Europea, pure di espressione di sinistra, non si allontana molto da una visione neo-liberista. Purtroppo questa problematica sembra ormai essere di gran lunga, la più ardua da affrontare. edo.nes959@gmail.com
Crisi e fine dell'Europa?
«La crisi consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati». Secondo Étienne Balibar, l’immagine drammatica dell’interregno evocata da Antonio Gramsci nel celebre passo si presta bene a raffigurare il presente di un’Europa che sta sopravvivendo alla propria agonia, invischiata in una logica di disfacimento dagli esiti impredicibili. Perché, nel contesto attuale irreversibilmente globalizzato, la fine parrebbe già avvenuta. «L’Europa è morta come progetto politico, a meno che non riesca a rifondarsi su nuove basi». La costruzione politica europea si è inceppata sulle sue contraddizioni irrisolte: sul dogma neoliberista della cosiddetta concorrenza non falsata, che ha esaltato l’antagonismo permanente degli interessi e ha rinsaldato le posizioni dominanti, con enormi costi sociali; sulla divisione dei poteri tra istituti comunitari e Stati membri, che ha consentito a ciascuna parte di invocare la propria irresponsabilità e ha scatenato al tempo stesso reazioni nazionalistiche; sulla questione delle frontiere esterne, già rese fluide dalla compresenza di organismi e aree che includono alcuni Stati e non altri – dallo spazio Schengen all’eurozona –, e adesso diventate il luogo dell’impossibile demarcazione tra Nord e Sud, dove si decidono le sorti di masse crescenti di migranti, «esseri umani senza Stato» che reclamano il loro «diritto ad avere dei diritti». Sembra che dell’Unione europea restino soltanto uno pseudofederalismo oligarchico e una moneta unica strumento dei mercati finanziari, mentre dovunque riprendono vigore un malinteso sovranismo e chiusure identitarie a tinte populiste e xenofobe. Eppure Balibar, tra i più acuti critici delle politiche comunitarie e dei loro effetti devastanti, primo fra tutti il trattamento iugulatorio del debito greco, ha buone ragioni per continuare a dirsi europeista. Quell’«entità plastica e incompiuta» che chiamiamo «Europa» può ancora trovare il suo momento costituente e federatore attraverso la «democratizzazione della democrazia», una rivoluzione dal basso che ridefinisca la cittadinanza stessa e preveda salutari contropoteri, recuperando il valore strategico della contestazione civile.
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edoardo nesti 17 aprile 2017
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