"Da un momento all'altro ero di nuovo al punto di dover partire per Grafenhof. Ma dissi di no e non ci ritornai mai più". Con queste parole termina il romanzo di Thomas Bernhard che racconta la sua infernale odissea giovanile, tormentata non solo dalla tubercolosi - e quindi da continui ricoveri, estenuanti e crudelissime cure, ricadute, inattesi miglioramenti - ma da una sostanziale, e forse inorgoglita, estraneità all'ambiente e alla società in cui era costretto a vivere. Figlio illegittimo e non riconosciuto dal padre, cresciuto in una famiglia economicamente disastrata, con una madre agonizzante per un cancro all'utero, rifiutato dalle scuole di una Salisburgo ottusa e farisaica, il giovane Thomas si ammala, e viene ricoverato nel sanatorio di Grafenhof, "perverso mulino sanitario macinasciagure". Si ritrova quindi in balia di medici aguzzini impreparati, infermieri e suore indifferenti, tra malati deprivati di qualsiasi dignità: "Erano lì coricati...apatici,disgustati dalla vita, allineati gli uni accanto agli altri, e sputando nelle bottiglie svolgevano il compito supremo che gli era assegnato... Sapevo che qui regnavano l'impulso a spegnersi, la disponibilità alla morte..." Eppure il diciottenne Bernhard riesce a salvarsi, aggrappandosi a una astiosa diffidenza nei riguardi della medicina ufficiale, e alla propria capacità di intuire l'assurdo insito nei gesti e nei pensieri di chi lo circonda; ma soprattutto convincendosi di poter guarire con il coltivare due passioni fondamentali della sua giovane esistenza: la letteratura e la musica. Cantando Bach, Purcell, Haydn, Schubert durante la messa all'ospedale, e poi nella parrocchia del paese; leggendo Baudelaire, Trakl, I Demoni di Dostoevskij, recupera un barlume di fede nella vita che lo convincerà ad evadere, ribellandosi, dal destino che gli era stato beffardamente assegnato, beffando lui stesso la condanna comminatagli, e diventando uno dei massimi scrittori del Novecento.
Il freddo. Una segregazione
Il freddo racconta il periodo passato da Thomas Bernhard, fra i diciotto e i diciannove anni, nel sanatorio pubblico di Grafenhof. Ed è la storia di un’altra lotta durissima per la sopravvivenza, dove la malattia che assale il giovane Bernhard è al tempo stesso una malattia terribilmente fisica – legata a una specifica persecutorietà ambientale e sociale – e una malattia dell’anima, come già indica l’epigrafe di Novalis, che è la chiave del libro: «Ogni malattia può essere definita malattia dell’anima». In questa vicenda di un «inabissarsi» in una «comunità della morte», per poi riemergerne quando tutto sembra perduto, arricchito dalla scoperta che «la via dell’assurdo è la sola praticabile», e quasi salvato dalla musica (a cui allora contava di dedicarsi), Bernhard ci offre il penultimo, possente pannello della sua autobiografia, impresa solitaria e altissima della letteratura del nostro tempo.
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Edizione:3
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