Qualcuno l’ha definito un romanzo metafisico, questo capolavoro di Salvatore Satta, nel quale le vicende dei vivi si intrecciano indissolubilmente con quelle dei morti, unite dallo stesso destino, sullo sfondo del medesimo scenario. Una Sardegna di «demoniaca tristezza» che ammalia e affattura, distante e altera come una dea, indifferente alle sorti degli uomini. Le vicende narrate si svolgono nella cittadina di Nuoro, dove l’antica famiglia dei Sanna, agiati notai, diventa simbolo e immagine di una condizione universale di sgomento, rassegnazione, speranze disattese. Filtrati dalla memoria dello scrittore, gli abitanti di Nuoro chiedono che le loro vite vengano sottratte all’oblio e restituite al senso della Storia attraverso il giorno del giudizio. Un’opera immensa, dove la prosa sorveglia con maestria le vite dei personaggi, spesso violente, inutili, atroci, a molestare senza tregua i ricordi dell’autore. Il quale, tuttavia, non rinuncia mai a una intensa e umana compassione per quelle esistenze a cui sente, nel profondo, di appartenere. Lasciatevi cullare dal ritmo dolce e spietato della penna di Satta, lungo un viaggio che indugia nelle vicende dei cittadini di Nuoro per elevarsi a dolente rappresentazione della vita di Tutti.
Il giorno del giudizio
In Sardegna, in quest’isola di «demoniaca tristezza», una città che è un «nido di corvi», Nuoro, abitata da gente che «sembra il corpo di guardia di un castello malfamato». E in questo paese «che non ha motivo di esistere», una vecchia famiglia, i Sanna Carboni, di notai agiati, rappresentanti di un’autorità che appartiene, in tutti i sensi, a un altro mondo. Il giorno del giudizio segue la storia di questa famiglia tra la fine del secolo scorso e i primi decenni del nostro: e, insieme a essa, di tutto il paese di Nuoro, dai notabili alle «donne ricche e pallide che sognavano e intristivano nella clausura», dai pastori ai banditi, agli oziosi del Corso, ai preti, ai vagabondi, alle prostitute. E, se pure le vicende dei Sanna formano la spina dorsale del libro, i personaggi si mescolano tutti in un groviglio inestricabile. Il loro vero ‘luogo comune’ è in realtà la morte, il camposanto di Nuoro «dominato dalla rupe, che sembrava una parca». Più che una nuova saga familiare, con quel certo andamento pletorico e in fondo prevedibile che appartiene al genere, questo libro potrebbe essere definito un romanzo metafisico. Qui i vivi e i morti, la Legge e le donne, gli innocenti e i criminali sono come spinti da un turbine rapinoso a presentarsi alla memoria di chi li racconta, sono fantasmi che perseguitano lo scrittore, che poi è uno dei loro e inavvertitamente racconta se stesso come fantasma. Tutti gli si avvicinano «scongiurandolo di liberarli dalla loro vita». Ma, perché ciò avvenga, bisogna che il grande fiume del vivere si arresti in quell’«atto antiumano, inumano» che è il giudizio, come Satta lo definiva in un suo saggio giuridico: «un atto veramente – se lo si considera, bene inteso, nella sua essenza – che non ha scopo». Ma «di quest’atto senza scopo gli uomini hanno intuito la natura divina, e gli hanno dato in balìa tutta la loro esistenza». Per la Nuoro di Satta, che ignora la Storia, «la vera e la sola storia è il giorno del giudizio», così come l’unico peccato, per il codice oscuro e implacabile del luogo, è «il peccato di essere vivi». Dietro la prosa scarna, dietro le storie asciutte e feroci, dietro la concretezza durissima dei fatti, sentiamo in queste pagine una continua febbre visionaria. Sospeso nel momento innaturale e veggente del giudizio, un intero mondo parla qui per la prima volta e si inabissa: ogni sua traccia ha in queste pagine un’intensità violenta, dolorosa e, a tratti, di disperata dolcezza. Alla fine sentiamo che davvero «il sogno galoppava in quelle brulle lande».
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Edizione:10
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Anno edizione:1990
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Micbil 19 giugno 2024Capolavoro della letturatura italiana
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ormos 29 settembre 2022
È solo nel giorno del giudizio che le anime delle persone si presentano così come sono, senza maschere o infingimenti. Ed è in una sorta di giudizio finale che Satta descrive l'umanità che popola la provincia nuorese, in un'atmosfera rarefatta e crepuscolare, presentandoci personaggi in una specie di fermo immagine: "ognuno di noi, anche se si limita a guardare in se stesso, si vede nella fissità di un ritratto, non nella successione dell'esistenza". Ecco allora sfilarci davanti tante esistenze, come Don Sebastiano Sanna Carboni, notaio e dunque testimone delle vicende patrimoniali dei suoi concittadini, sempre più ritirato in mezzo ai tomi rilegati degli atti dello studio, rimasto estraneo alla famiglia a cui aveva dato tutto se stesso ("dalla famiglia egli aveva preteso una cosa sola: che non lo disturbassero nella sua opera, e ciascuno quindi facesse il suo dovere, come egli l'aveva fatto"). E Donna Vincenza, la moglie di lui, sempre più sola in quella casa che diventerà la sua prigione, "inchiodata dall'artrite nel seggiolone sotto la pergola". E poi ancora i figli della coppia, e tutta quella congerie di figure, spensierate o disperate, astute o fataliste, raccolte attorno al tavolino del tresette al caffè Tettamanzi. Insomma un romanzo che è l'affresco di un'epoca, la fine dell'ottocento e l'inizio del novecento, in cui l'autore si pone come testimone per raccontare e sottrarre se stesso e gli altri all'oblio, come in un giudizio finale. Voto 4,5.
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Davideprig 01 agosto 2022capolavoro da riscoprire
Leggere satta vuol dire cambiare secolo e tornare in una società che non esiste. L'atmosfera è cupa di una Nuoro più paese che città. La definizione di questo romanzo può essere tranquillamente la versione italiana di "Antologia di Spoon River", i suoi personaggi, i loro vizi, le loro vite e il rapporto con la religione. Un vero capolavoro da leggere con calma, malinconia e particolare attenzione e da consigliare ad amici e parenti.
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