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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 1987
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Leggere Gli imperdonabili come testimonianza di Cristianità è come per un ateo ascoltare le Messe di Bach sentendosi in dovere di specificare che gli piacciono anche se non è credente. Il fatto che la Campo venisse considerata come la vera ispiratrice di Lefevre(e forse lo era realmente) all'epoca ha reso impossibile conciliare la sua breve opera poetica con le liberali sorti progressive del pensiero illuminato. E questo, nell'impedire ogni dialogo, ha anche consentito che la lefevriana non venisse digerita e il suo contributo è arrivato intatto per essere "scoperto" da noi. Oggi, se possiamo opinare certo suo cattolicesimo o certe sue opinioni politiche tutt'altro che progressive, ci accorgiamo che Gli Imperdonabili non ha realmente nulla a che vedere con tutto ciò. Il trait d'union tra quest'opera inclassificabile, per fortuna, e la religione ha semmai a che vedere con la sua concezione della liturgia, cioè una questione di forma, non di contenuto. Anzi, per lei la forma coincideva col contenuto e non viceversa. Per questo era mistica e per questo lei non pensava classificatoriamente. Estetizzante? Sarà che ho appena finito di difendere Gadda dalla medesima accusa presso un colto che, non si sa perché, lo contrapponeva alla scrittura anglosassone, "tanto comprensibile", mi diceva, convinto che fosse una questione di democrazia. E' uno scientista e si dimentica che già da un centinaio d'anni è stata smentita la democraticità della scienza. E sia nella forma che ne contenuto. Pertanto, lasciando perdere le classificazioni, rimane da dire che Gli Imperdonabili è ostico. Non è per la esattezza dello stile o per certe sue leziosità ma è perché lei entra con la precisione di un ago in regioni dove si è abituati a muoversi solo con un linguaggio più prudente. Si temporeggia. Lei no. I riferimenti sono tanto alle leggende del Cristianesimo quanto alle sue amatissime fiabe o a luoghi orientali della filosofia, con una libertà intellettuale di fatto laica, che la lefevriana avrebbe potuto insegnare a tutti coloro che non la ammettevano in quei salotti (dove lei peraltro non sarebbe mai entrata, il disprezzo era reciproco) in cui un intellettuale per potersi dire tale doveva farsi sorprendere con l'Unità in mano e aspettare che venisse da lontano il suggerimento su come la doveva pensare. Soltanto pochi anni dopo quanti salotti letterari non hanno giocato con la filosofia orientale? Tra un cannone e l'altro, qualche premio letterario, con le dovute contestazioni, per celebrare il niente, e sono pur sempre celebrazioni. Vedete? La forma è il contenuto.
I segreti nascosti in un tappeto persiano e la sublime arte della sprezzatura mi fanno tornare spesso alle pagine di questa regina della parola che ha scritto poco, e avrebbe voluto scrivere ancora meno. Appare come un processo nuovo e lento, quello che Cristina Campo compie al fine di riappropriarsi di qualcosa che, in realtà, è in suo possesso già da molto tempo (perché sono verità che la scrittrice ha a lungo meditato, dopo averle riportate alla luce con tenaci e coraggiose operazioni di scavo, ed averle pulite, con certosina ed amorevole cura, dal fango e dalla polvere)... questo libro ne è la prova.
La Campo è stata una mente luminosa e piena di grazia. Questi saggi sono un inno alla perfezione stilistica e, allo stesso tempo, una riflessione coraggiosa sul rapporto tra questo mondo e l'"altro mondo". Un libro imperdibile.
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