Nunzio Bombaci (Messina, 1958) ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Filosofia e Teoria delle Scienze Umane presso l’Università di Macerata nonché l’Abilitazione Nazionale ad Associato di Filosofia Morale. È studioso del personalismo, del pensiero dialogico e della filosofia spagnola del Novecento. Oltre a numerosi articoli e traduzioni, ha pubblicato i volumi: Una vita, una testimonianza. Emmanuel Mounier (1999; ed. spagnola: E. Mounier: una vida, un testimonio, 2002); Ebraismo e cristianesimo a confronto nel pensiero di Martin Buber (2001); Patire la trascendenza. L’uomo nel pensiero di María Zambrano (2007). L'umanista Juan Rof Carballo Juan Rof Carballo va ascritto all’ampia e autorevole tradizione ispanica di medici umanisti. Essa si va affermando durante il Medioevo, allorché trova terreno fertile in un contesto culturale ove convivono grandi intellettuali cristiani, ebrei e musulmani. Nel dodicesimo secolo operano due tra i più prestigiosi esponenti di questa tradizione, l’arabo Averroè e l’ebreo Mosé Maimonide. La Reconquista, compiuta nel XV° secolo dai sovrani cristiani, comporta l’espulsione dal sud della Spagna di musulmani ed ebrei, e infligge un duro colpo a tale tradizione, che tuttavia non si estingue, e costituirà peraltro un importante riferimento identitario per alcuni illustri medici umanisti dell’Ottocento e del Novecento, tra i quali Juan Rof Carballo. Nel volume El hombre a prueba il clinico galiziano espone la sua concezione dell’umanesimo medico. Egli assume la celebre espressione dell’Heautontimorùmenos di Terenzio: «Nihil humani a me alienum puto» quale motto programmatico di una medicina capace di prendersi cura dell’uomo, senza scotomizzarne la complessa realtà, anche quando il suo esercizio si avvale degli strumenti sofisticati offerti dalla tecnica, e il forte aumento della richiesta di prestazioni sanitarie espone la medicina stessa al rischio di una prassi massificata e impersonale. Gli scritti di Rof Carballo attestano la ferma convinzione che, pure in siffatta temperie storica, il medico debba e possa esercitare una “Medicina de humanismo”, offrendo al malato, oltre alle risorse della sua professionalità, la qualità della sua presenza umana come pure la comprensione e l’ascolto. Tale convinzione è attestata da tutta la sua opera: la medicina, anche allorché l’uomo vive nell’«esistenza tecnica», può custodire e, anzi, rinvigorire il suo carattere umano. Vi riesce se, proprio con riguardo all’uomo, è volta a conoscere bene non solo «come funzionano i suoi organi», ma anche «il gioco dei suoi istinti, dei suoi sentimenti, delle sue passioni e persino dei suoi ideali». Solo così la medicina può affrontare adeguatamente il desafío, il reto – ovvero la sfida – arrecatale dalla tecnica. Rof Carballo avrebbe potuto assentire a quanto scrive Karl Jaspers nel libro Der Arzt im technischen Zeitalter, ovvero che la medicina non può essere identificata «nella pratica di un intervento biologico, diretta al mero corpo e guidata dal pensiero della sua utilizzabilità come strumento», poiché mediante tale pratica «l’uomo va perduto e distrutto». L’autore dissente però radicalmente dal filosofo tedesco, duramente critico nei confronti della psicoanalisi, allorché questi afferma che l’esercizio di una medicina realmente umana – in cui il medico è capace di dire al malato «la parola giusta» – renderebbe superflua la psicoterapia di matrice psicoanalitica. Secondo Jaspers, quest’ultima richiede dal terapeuta e dal paziente un atteggiamento fideistico analogo a quello imposto dalle sette religiose ai loro adepti. Per Rof Carballo, sotto un certo riguardo, la medicina del Novecento si rivela ancora più umana che nei secoli precedenti in quanto è in grado di salvare molte vite umane, avendo debellato diverse malattie infettive che in passato avevano una prognosi spesso infausta. Ad esempio, essa appare, e non solo all’autore, senz’altro più umana della medicina espressa nel secolo precedente dal positivismo, la quale era animata da una grande fiducia nella sua «oggettività scientifica», e si mostrava tanto precisa nel descrivere e rubricare sul piano nosologico i sintomi di moltissime malattie quanto impotente a curarle, legittimando talora una sorta di nichilismo terapeutico, nelle esplicite affermazioni dei suoi più illustri esponenti oppure per facta concludentia.