Vittorio Perego ha studiato a Milano presso l’Università Cattolica, dove ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in filosofia, a Friburgo i.B. e a Parigi. Studioso del pensiero contemporaneo si è occupato del pensiero di Heidegger con il volume Finitezza e libertà. Heidegger interprete di Kant e della fenomenologia francese (La fenomenologia francese tra metafisica e teologia). Ha tradotto testi di Lévinas e Derrida ed è inoltre autore di numerosi articoli sulla tradizione fenomenologica tedesca e francese. L'antropologia strutturale come promessa scientifica ed etica Se la fenomenologia in Francia negli anni Quaranta era stata la corrente che aveva contribuito in modo decisivo a riformulare la domanda filosofica, all’inizio degli anni Cinquanta si assiste ad un cambiamento di paradigma, in cui la fenomenologia, soprattutto nel suo approdo esistenzialista, viene radicalmente messa in discussione. Cambiamento di paradigma che ha una ragione politica – il marxismo vede nell’esistenzialismo un’espressione dell’individualismo borghese -, ma anche più specificatamente culturale, dettato dal rapido imporsi di quella che Barthes definiva “attività strutturalistica”. Lo strutturalismo è stato innanzitutto una proposta metodologica connessa all’esigenza di individuare uno statuto epistemologico solido per le scienze umane. L’impulso originario di questo progetto è senza dubbio rintracciabile negli studi antropologici di Lévi-Strauss, secondo cui l’antropologia può diventare una scienza nella misura in cui è in grado di trovare leggi formali che abbiano una validità universale. In questo senso, per comprendere una realtà etnica nella sua varietà è necessario mettere in luce il sistema strutturale che regola tutti i singoli fenomeni e giustifica la loro apparente posizione accidentale all’interno del sistema medesimo. Questa impostazione metodologica è animata dall’avversione verso ogni riduzionismo: il tutto non può essere spiegato nella scomposizione delle parti, ma viceversa è il sistema a rendere intellegibile la parte. Il singolo elemento isolato non esiste nella realtà, è solo il frutto di un’astrazione, di un’operazione intellettuale artificiale. Il carattere epocale di questa progetto emerge quando questa esigenza di trovare uno statuto per le scienze umane viene integrata con la linguistica. Attraverso le analisi di De Saussure e Jakobson, Lévi-Strauss ha generalizzato il sistema linguistico a tutti gli ambiti della realtà: se il mondo è un linguaggio - «non c’è struttura se non di ciò che è linguaggio» -, ogni sua dimensione (struttura parentale o miti) non è altro che un testo, che può essere decifrato in tutti i suoi contenuti, appunto applicando le acquisizioni della linguistica contemporanea. Il linguaggio, d’altra parte, non è l’insieme delle parole parlate, cioè intenzionali, ma un complesso di segni del tutto indipendente dalla coscienza di chi li utilizza. Questo complesso di segni si rivela una struttura articolata, dotata di proprie regole di funzionamento: ogni elemento ha un “senso” solo in relazione agli altri e questo “senso” è individuabile in virtù della posizione che occupa all’interno della struttura linguistica. Se il linguaggio non è un sistema costituito dai vissuti, dalla dimensione psichica, ma appunto un codice di funzionamento formale, la linguistica strutturale consente di elaborare un’analisi scientifica e formale del linguaggio, cioè libera da ogni psicologismo ed empirismo. Le conseguenze di questa impostazione sono fondamentalmente due: innanzitutto il linguaggio non è (più) uno strumento che rinvia ad una realtà, di cui sarebbe la descrizione, la riproduzione verbale; quando nel 1953 Barthes pubblica Il grado zero della scrittura la trasformazione dello statuto del linguaggio da mezzo a finalità appare compiuta. La seconda conseguenza, complementare a questa, è l’assoluta precedenza del significante, del codice rispetto al significato, al messaggio: è la langue, l’insieme dei significati disponibili, che detta la possibilità e nel contempo i limiti di ogni parole. Ciò significa che non è più la coscienza individuale che cerca di veicolare le proprie esperienze verso l’esterno, attingendo al linguaggio, ma il soggetto, quando esprime un messaggio, in realtà non sta facendo altro che sottomettersi alle leggi del codice, del significante. Il senso, quindi, non può che essere una mera convenzione, vale a dire riproduzione di ciò che è già disponibile dentro un sistema.