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“Finale di partita è il maggior lavoro teatrale di Beckett, il testo più importante della sua produzione drammatica e uno dei più significativi di tutta la sua opera. Non è un caso che Adorno abbia fatto il punto su Beckett proprio a partire dall’analisi di questa pièce. Il suo “Tentativo di capire il Finale di partita” rappresenta tuttora l’interpretazione più lucida e convincente di un testo che risponde pienamente alla concezione adorniana per cui l’opera d’arte non può far altro dichiarare la negatività del presente e avere una sua positività proprio nella dichiarazione del negativo”. Dalla Nota introduttiva di Paolo Bertinetti
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Parte in profondità già con il titolo, Samuel Beckett, in questo dramma: il “finale di partita” è infatti l’ultima fase di una partita a scacchi che, a parità di bravura dei partecipanti, è normalmente divisa in tre fasi. Nell’ultima restano pochi pezzi sulla scacchiera e, dell’incontro, si preannuncia la fine. La fine. Già. Come quella che circonda i personaggi del dramma, superstiti in un mondo ormai distrutto da chissà quale catastrofe. Sono Hamm, Clov, Hagg e Nell. Hamm è cieco e non cammina, Clov ci vede e cammina ma non può piegare le gambe, Hagg e Nell le gambe non le hanno proprio e vivono dentro due bidoni della spazzatura. Immagino non per scelta. Scelta che, in ogni caso, pare nessuno di loro abbia. Che cosa vuol dire esistere? Qual è la nostra responsabilità nei confronti di tutto questo? E che cos’è tutto questo? Così arrancano, giorno dopo giorno i protagonisti, ponendosi queste domande, cercando la vita nell’immobilità che li circonda e al contempo ignorandola nella quotidianità che li sostiene. Un dramma carico di quel cinismo, dissacrante ironia, precarietà e introspezione tipici del "teatro dell'assurdo", come fu definito da Martin Esslin. I concetti sono sostenuti dalla scenografia post-apocalittica, minimale e imponente al tempo stesso; i dialoghi sono frammentati, sospesi, gettati in toni gravi e subito resi acuti a catturare l’attenzione del lettore, dello spettatore, per poi trascinarlo nell’intimità del protagonista e restituirlo subito dopo ai suoi pensieri.
Finale di partita, ambiguo già nel titolo che è difficilmente interpretabile, è un'opera teatrale che capovolge tutto e niente allo stesso tempo. Rispetta perfettamente le tre unità aristoteliche di tempo, luogo e spazio e pertanto si potrebbe porre come un'opera formalmente esemplare. La tradizione viene rispettata dall'autore ma egli si pone anche in conflitto con quest'ultima, infatti il luogo è assurdamente sempre lo stesso, sempre la stessa stanza, con le stesse persone, che ripetono ogni giorno la stessa storia, l'azione si svolge nello stesso giorno alludendo alla ripetitività di tutti gli altri. Per questo motivo il teatro di Beckett viene definito ''dell'assurdo'', ''parodico'' ma sono termini riduttivi. Un'ipotesi sull'opera viene avanzata da Adorno nel suo "Tentativo di interpretare "Finale di Partita", il quale ritiene il titolo una possibile allusione alle mosse finali di una partita di scacchi, l'ambientazione di tipo post-atomica e i due protagonisti l'uno (che non può camminare) complementare all'altro (che non può sedersi). Sebbene egli faccia un tentativo, non si potrà mai avere una certezza dal momento che la grandezza dell'opera sta anche nel fatto che lascia spazio praticamente illimitato all'interpretazione, secondo Beckett infatti l'autore non era altro che un tramite e non un filosofo, egli non doveva dare ''messaggi'' tramite le sue opere.
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