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Anno edizione: 2021
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La banalità del bene, per dirla con le parole che Philip Zimbardo ha preso in prestito - e ribaltato - da Hannah Arendt? Ossia un eroismo alla portata di tutti, nelle giuste condizioni di spazio e di tempo? Oppure - ma non necessariamente in alternativa - un germe del bene connaturato all’esistenza umana, contraddistinta da una dimensione morale originaria? Quest’ultima, per Rispoli, è la radice del logos, fondamento di ogni cosa (anche della “legge”, dunque) teleologicamente tesa verso un disegno, nel quale - chi ritiene - ravvisa l’”origine divina”. In questa dimensione la libertà viene intesa come “surplus di energia” rispetto a quella necessaria per la configurazione materiale del corpo. Libertà come quid pluris, quindi come libertà di volere, in un percorso, quello dell’esistenza umana, caratterizzato dal tentativo di comprendere, anche dinanzi a disegni inconoscibili - che, forse, non possono neppure essere riconosciuti come tali -. Se così non fosse - ci si chiede - da dove verrebbe questa straordinaria bellezza, (“il cielo stellato sopra di me” di Kant), questi meccanismi che sanno di perfezione geometrica e che governano il mondo sotto i nostri occhi distratti? Soffermarci su questo “basta per alleviare lo stato di smarrimento che l’esistenza tende a provocar[e]”. E dunque si arriva a Dio, “energia di pienezza”, di cui l’uomo può partecipare in alcuni istanti di pura estasi. Mancuso annovera tra i momenti in cui facciamo esperienza dell’ulteriorità non solo la dimensione spirituale ed etica, ma ancor prima e più profondamente quella estetica (da non confondere con il mero estetismo).
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