Ottima traduzione. Ed edizione, come sempre per Adelphi
Lolita
Lolita non è solo un meraviglioso romanzo, ma è uno dei grandi testi della passione. America, Lolita: questi due nomi sono di fatto i protagonisti del romanzo, scrutati senza tregua dall'occhio inappagabile di Humbert Humbert e di Nabokov. Realtà geografica e personaggio sono arrivati a sovrapporsi con prodigiosa precisione, al punto che si può dire: l'America è Lolita, Lolita è l'America.
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Autore:
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Traduttore:
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Editore:
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Collana:
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Anno edizione:1993
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Un libro intrigante e intellettualmente morboso, ma niente affatto compiaciuto nel suo sviluppo. Non c'è niente di pornografico (la letteratura contemporanea ci ha abituato a ben altro) quanto un'esplorazione dell'animo umano maschile nella decadenza dei sensi. Il suo merito ancora oggi è quello di arrivare sul ciglio dell’abisso, dando forma letteraria a un’ossessione che per sua natura non può essere risolta e di focalizzare sull'effimera voluttà della bellezza in fiore, visivamente lo stesso processo di David Hamilton con le sue fotografie negli anni settanta di conturbanti adolescenti. Una sensualità molto snobistica e assai poco erotica, così come questo romanzo scritto in maniera elegante e quasi distaccata, come si conviene ad un intellettuale nato nel crepuscolo dell’ottocento e figlio dell’ultima nobiltà russa prima della rivoluzione e poi emigrato negli Stati Uniti, scacchista ed entomologo di fama: uno snob appunto. Il romanzo si legge bene ma non è una lettura appassionante: da lettore ammetto l’atteggiamento intellettualistico a mia volta di poter dire di conoscerne non solo il titolo (un po’ come mi era successo anche con quell’On The Road di Kerouac che fu l’altro romanzo-cult di quegli anni). A rileggerlo a sessantanni ho capito meglio i viaggi mentali del protagonista Humbert Humbert (che alla prima lettura nel 1968 mi ricordava tantissimo l’allora vice-presidente americano Hubert Humphrey) ma anche ho fatto un po’ fatica ad arrivarci in fondo. Oggi consiglierei la lettura del libro soprattutto per confrontarlo con il film di Kubrick, che a Lolita oltre al nome ha saputo dare anche il volto giusto per diventare un’icona assoluta. Ma questa è un'altra storia.
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Un libro intrigante e intellettualmente morboso, ma niente affatto compiaciuto nel suo sviluppo. Non c'è niente di pornografico (la letteratura contemporanea ci ha abituato a ben altro) quanto un'esplorazione dell'animo umano maschile nella decadenza dei sensi. Il suo merito ancora oggi è quello di arrivare sul ciglio dell’abisso, dando forma letteraria a un’ossessione che per sua natura non può essere risolta e di focalizzare sull'effimera voluttà della bellezza in fiore, visivamente lo stesso processo di David Hamilton con le sue fotografie negli anni settanta di conturbanti adolescenti. Una sensualità molto snobistica e assai poco erotica, così come questo romanzo scritto in maniera elegante e quasi distaccata, come si conviene ad un intellettuale nato nel crepuscolo dell’ottocento e figlio dell’ultima nobiltà russa prima della rivoluzione e poi emigrato negli Stati Uniti, scacchista ed entomologo di fama: uno snob appunto. Il romanzo si legge bene ma non è una lettura appassionante: da lettore ammetto l’atteggiamento intellettualistico a mia volta di poter dire di conoscerne non solo il titolo (un po’ come mi era successo anche con quell’On The Road di Kerouac che fu l’altro romanzo-cult di quegli anni). A rileggerlo a sessantanni ho capito meglio i viaggi mentali del protagonista Humbert Humbert (che alla prima lettura nel 1968 mi ricordava tantissimo l’allora vice-presidente americano Hubert Humphrey) ma anche ho fatto un po’ fatica ad arrivarci in fondo. Oggi consiglierei la lettura del libro soprattutto per confrontarlo con il film di Kubrick, che a Lolita oltre al nome ha saputo dare anche il volto giusto per diventare un’icona assoluta. Ma questa è un'altra storia.
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