una narrazione reale, aspra, asciutta che solo Fenoglio era in grado di fare
La malora
Pubblicato per la prima volta nel 1954 nella collana dei «Gettoni», due anni dopo I ventitre giorni della città di Alba, La malora racconta, con un tono ruvido che nulla concede alla retorica e al sentimento, la vicenda carica di destino del giovane Agostino che, morto il padre, va a servizio in un'altra cascina. Una storia elementare di fatica e di silenzi, di dolore e di violenza che ci riporta al dramma della miseria contadina delle Langhe e che trova il suo linguaggio nello stile scarno e partecipe di Fenoglio, lo stesso stile antiretorico e «barbarico» che procurò allo scrittore l'accusa di aver tradito i valori della Resistenza. Proprio questa asprezza e la continua invenzione linguistica fanno di Fenoglio uno dei massimi scrittori italiani del Novecento. Con La strada e i paracarri di Paolo Di Paolo, una nota bibliografica e la cronologia della vita e delle opere.
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chiara 07 gennaio 2025il più sottovalutato di Fenoglio
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Manu 31 maggio 2023
Fenoglio lo conoscevo esclusivamente come il cantore della Resistenza, poi mi è stato regalato questo libro. È un libro profondamente verghiano, dove la vita è amara e la lotta per la sopravvivenza si conclude sempre con una misera sconfitta. Il libro, scritto prevalentemente in piemontese, narra le tristi vicende di una famiglia contadina delle langhe e vede come protagonista, e voce narrante, il figlio di mezzo. La scala gerarchica è composta da sfruttati e sfruttatori a loro volta sottomessi dai padroni. I mezzadri provano a migliorare la propria condizione facendo vivere nel sacrificio famiglia e servitori, ma tutto va in malora (ed ecco spiegato il titolo). Il protagonista ad un certo punto del racconto compie un'analisi marxiana su lavoro e proprietà, una critica lucida dettata dalla fame e dallo sconforto. In diversi passaggi viene descritto anche il seminario, dove i preti si comportano come i padroni, con l'aggravante che i bottoni neri si fan pagare. Poi le brutture dell'epoca: la violenza casalinga, le donne relegate a oggetto di scambio e servitrici del padrone (anche quando il padrone è il marito). Fenoglio è un ottimo narratore e fa vivere al lettore la miseria di quella gente fin quasi a sentire il puzzo di sudore e sterco: la puzza di zolfo dopo una giornata a vangare la terra. Il libro non è solo un lungo racconto degli ultimi, ma è anche uno scorcio sulla vita di quei tempi, fatta di piccole dipendenze quotidiane: il vino, le carte e il fernet. È un libro angosciante, che mette addosso un profondo senso di nausea e schifo. È senza dubbio un romanzo storico che ci ricorda quanto siamo fortunati noi che siamo venuti dopo, ma era fortunato anche il suo autore quando lo scrisse all'inizio della ricostruzione dell'Italia.
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