Scorrevole e simpatico, ma anche molto profondo
Memorie da una casa di morti
Condannato a quattro anni di deportazione seguiti da sei di confino, nella colonia penale Dostoevskij si ritrova a toccare con mano il male, non soltanto nella sua forma metafisica, ma nella sua espressione concretamente brutale; e soprattutto la presenza di un abisso incolmabile tra sé, intellettuale nobile, e i detenuti comuni, il popolo. Pur privato dei suoi diritti di nobile, pur sottoposto alle stesse regole e vessazioni, l’autore non fu mai riconosciuto compagno dei suoi compagni, non fu mai alla pari con loro – si trovò sempre di fronte alla stessa solitudine che avrebbe accompagnato il Raskol’nikov di "Delitto e castigo" nella prima fase della sua permanenza nella colonia penale. E tuttavia, acquisendo la consapevolezza della propria diversità, Dostoevskij diviene anche consapevole di una nuova forma di conoscenza. “Di sicuro per me non è stato tempo perduto,” scriverà al termine della condanna. “Se anche non ho conosciuto la Russia, certo il popolo russo l’ho conosciuto bene, come pochi credo lo conoscano.” Molti dei protagonisti delle sue opere future hanno un loro prototipo negli individui incontrati durante la permanenza nella colonia penale. "Memorie da una casa di morti" è il grande racconto dell’esperienza carceraria di Dostoevskij in Siberia. Un’esperienza decisiva nella sua maturazione letteraria. Un libro unico.
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Nico 10 gennaio 2025Intrattenente
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OndinaRosa 18 giugno 2022Consigliato
Consigliato
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eri_91 09 ottobre 2021il romanzo semi-autobiografico di Dostoevskij
Il libro parla della vita dei condannati in un campo di prigionia siberiano, esperienza che lo stesso Dostoevskij ha dovuto affrontare. L’autore russo ha infatti scontato quattro anni di lavori forzati – seguiti da sei di confino – proprio in un campo di lavoro di questo tipo e proprio in Siberia. Durante la lettura risulta quindi facile chiedersi quanto di quello che leggiamo sia stato vissuto dallo stesso Dostoevskij. A questo si aggiungono i dettagli del libro, dettagli che si rifanno alle varie condizioni e situazioni che i carcerati sono costretti a subire, e dettagli della loro personalità. Per dare il via alla narrazione Dostoevskij sfrutta l’espediente del manoscritto ritrovato: nella prefazione leggiamo che questa sorta di diario appartiene a un recluso che avrebbe ucciso la moglie in seguito a un impeto di gelosia. Una motivazione completamente diversa rispetto all’incarcerazione di Dostoevskij, condannato per il suo coinvolgimento in un gruppo progressista di oppositori dell’autocrazia zarista, che permette all’autore di evitare i prevedibili interventi della censura. È interessante come nel corso delle varie storie, in ogni condannato emerga un lato più umano. La cosa non è scontata se consideriamo la tendenza a deumanizzare chi si trova in carcere. Ma forse, proprio perché Dostoevskij ha toccato con mano cosa significa essere condannati e incarcerati, l’autore è riuscito a mettere a nudo questi uomini – anche quelli più pericolosi – e a mostrare il loro lato più sensibile e profondo. Insomma, Dostoevskij ci ricorda che anche chi commette un crimine è un essere umano, e come tale andrebbe trattato. Non posso che riconoscere l’importanza di Memorie da una casa di morti per la rilevanza dell’argomento trattato, ma rimane un libro che non sono riuscita ad apprezzare appieno. L’autore mi è sembrato davvero troppo prolisso e ripetitivo, e questo il più delle volte mi ha portata ad annoiarmi.
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