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Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2021
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Siamo in Israele, negli anni vicini alla seconda guerra mondiale e alla nascita dello Stato d'Israele: al centro di questo libro c'è l'amicizia tra due uomini molto diversi tra loro: l'insignificante Yaakov Markovitch e l'esuberante Zeev Feinberg, e attorno ad essi gravitano alcuni personaggi, tutti magistralmente tratteggiati, che creano dinamiche coinvolgenti, a volte bizzarre altre commoventi. Tra queste pagine ritroviamo le miserie umane, il dolore vissuto al chiuso della propria solitudine, l'amore, quello viscerale e carnale, quello tenero, quello ossessivo e capriccioso; l'amore ricambiato, quello non corrisposto, quello nascosto; la nostalgia per il proprio paese; e poi la felicità e l'illusione, la gioia di chi ha tutto e il dramma di perdere questo tutto... C'è qualcosa di tormentato e commovente negli uomini e nelle donne di cui si narra, e nelle vicende che li coinvolgono; di essi ci colpisce come alla fine, ognuno per ragioni proprie, tutti fatichino a trovare la felicità. Divertente e tenero, struggente e malinconico, il romanzo della scrittrice israeliana è una storia indimenticabile che sa risvegliare emozioni, per intreccio, personaggi e per lo stile, inebriante, sensuale ma anche ironico e leggero.
Mai fidarsi delle quarte di copertina: tutte, più o meno esplicitamente, propongono il capolavoro, la lettura imperdibile, l'emozione indimenticabile, il libro che vi cambierà la vita. Della Giuntina tendo a fidarmi, perchè stampa letteratura di qualità. Leggendo: “Un romanzo sorprendente e profondo che mescola vicende intime ed eventi storici, capace di raccontare con sensualità e umorismo l’infinito desiderio d’amore che accompagna le vite di tutti noi...” mi aspettavo una lettura divertente, confortata anche dalla copertina con due belle arance appena colte. Il libro è in effetti bello e coinvolgente, ma non ha nulla della commedia brillante. Parla di due amici Israeliani, dei loro conoscenti, e delle loro famiglie negli anni '40 - '70, con sullo sfondo le vicende di Israele. Riconosco alla giovane autrice l'onestà intellettuale di rendere il periodo nella sua complessità, fra la necessità di difendersi e il rischio di eccedere; l'andare a combattere il nemico e il rimanere sconvolti dalla morte di chi non poteva nuocere; il coraggio di fare l'eroe e il non saper accettare una mancata paternità. Le storie raccontate sono belle e spiegano bene, per chi non ne avesse idea, la particolare varietà umana di Israele che è un grande melting pot di gente autoctona e gente che viene da tutta l'Europa, dal nord Africa, dall'Iran, dalla Turchia, dall'America e non ha né lingua nè colore ad accomunarla agli altri, solo la religione; se pure, perchè i primi decenni di Israele sono più socialisti che religiosi e infatti la religione non viene neanche nominata. La gente sbarcava (se non veniva ributtata in mare dagli Inglesi) e non sapeva la lingua del posto: dovevano studiarsela. Per molti l'arrivo comportava un notevole shock: una volta arrivati alla terra promessa, calda e secca, c'era da procurarsi il cibo: Golda Meir faceva l'allevatrice di polli e avrebbe continuato volentieri, se il marito non avesse trovato il kibbutz insopportabile. Quindi lo sfondo storico è piuttosto realistico e apprezzabile nella sua durezza. Mi è piaciuto meno il “realismo magico”, un certo tono fiabesco alla Garcia Marquez che l'autrice adotta su alcune vicende: non mi piace e secondo me non si accorda al tono del libro. Altro che arance: carne e sangue. Anzi, fragole e sangue: Markovitch era riuscito con successo e molto impegno a coltivare fragole, invece dei datteri.
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