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Ho letto questo libro durante un mio viaggio in India ed ora non smetto mai di regalarlo ogni volta che sento qualcuno andare o tornare da quel magico paese. Incredibile la prospettiva di questi personaggi, che paiono collocati fuori dal tempo, ma che rimangono attuali, ancora oggi, nella società indiana. Spiritualità, misticismo, degrado, ignoranza, follia: tutto condensato in queste pagine preziose, testimonianza inestimabile di realtà incredibili, straordinarie. Il lettore perplesso non potrà che piegarsi di fronte alla realtà più cruda. La religione, in ogni personaggio, è guida e carnefice. E' questa la vera India. E con Dalrympile la sensazione di pena o il vago scetticismo, lasciano spazio ad una piena, cinica, consapevolezza.
Letto durante l'ultimo viaggio nell'India del sud, mi ha profondamente emozionato e coinvolto. William Dalrymple ha detto che «le religioni indiane sono un argomento complessivamente molto mal rappresentato dagli scrittori occidentali. E questo perché o hanno condannato l' induismo giudicandolo attraverso un parametro cristiano, oppure dagli anni 60 in poi sono venuti in India a confrontare la loro disillusione nei confronti del cristianesimo con un induismo irreale e mitizzato». E in effetti in queste nove vite riesce a farci sentire la viva voce di uomini e donne normali e straordinari al tempo stesso, consentendoci uno sguardo più profondo sugli sguardi e sui gesti che scorgiamo in templi meravigliosi e vivissimi. Tra le nove storie (tutte bellissime e sconvolgenti), mi sono rimaste nel cuore quelle di Prassannamati Mataji, monaca jaina che accudisce l’amica mentre questa si lascia morire ritualmente di inedia per poi scoprire di non poter vivere senza di lei, e decide quindi di seguirla nella stessa scelta e di Hari Das, un intoccabile, che lavora come scavatore di pozzi e secondino carcerario, ma per tre mesi all’anno è un danzatore sacro nel rituale del theyyam e diventa dio.
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