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L'albero di stanze
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L'albero di stanze - Giuseppe Lupo - copertina
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albero di stanze

Descrizione



Un millennio finisce e un altro comincia, una casa da svuotare e da vendere. La storia di una famiglia vissuta cento anni.

"A conclusione di una serie di romanzi che hanno disegnato in questi quindici anni il destino delle genti di Lucania durante il lungo e drammatico attraversamento di un tempo sospeso tra il nuovo e l'antico, la fervida e generosa immaginazione di Giuseppe Lupo si condensa in un'unica, inarrestabile ascesa nel silenzio solitario degli uomini e nel racconto che i muri evocano delle generazioni durante tutto il secolo che ormai sta per chiudersi insieme al secondo millennio dopo la nascita di Cristo. Non è una saga questa di una Lucania diventata Lupania e neppure una mitica leggenda, piuttosto un paziente e amoroso rendiconto di una conquista, stanza sopra stanza, piano dopo piano, poi abbandonata per rivolgersi a nuove mete, in un altrove lontano; un bilancio tra storia e memoria dove i conti debbono in ogni caso quadrare, perché ormai vanno chiusi, e anche in fretta, con la vendita di tutta la 'casa verticale', ricorrendo a ogni forza ci venga dal riemergere dei ricordi, mentre le parole svaniscono in un definitivo silenzio. Lupo traccia un bilancio esistenziale e morale che va oltre il rimpianto, sfidando il futuro con l'entusiasmo del sogno e la concretezza del gesto. Di questa epopea Lupo, con 'L'albero di stanze', si conferma appassionato e sincero testimone, autentico e luminoso cantore, in un romanzo che segna con dolente e sofferta coscienza la conquista di una vita nuova". (Cesare De Michelis)
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Dettagli

2015
252 p., Rilegato
9788831721981

Valutazioni e recensioni

Recensioni: 4/5

Chi ha letto qualcosa di Giuseppe Lupo ha già avuto modo di sperimentare sia la sua familiarità con i voli alti della fantasia che l’estrema dimestichezza con funamboliche astrazioni di racconti sospesi tra sogno e realtà. Racconti che inequivocabilmente nascono da ricordi mitizzati che si confondono con il mito vero e proprio, vissuto e assorbito con occhi, orecchi e perfino con il respiro. E con L’albero di stanze viene fuori tutto questo, prepotentemente. Credo di aver colto fino in fondo lo spirito che anima per intero questo romanzo essendomi calato nei panni di un bambino particolarmente sensibile, curioso e fantasioso, cresciuto in una famiglia patriarcale e molto numerosa, radicata in un piccolo paese dove le relazioni familiari ed extrafamiliari assumono valenze sconosciute in una grande città. Non è di quel bambino, però, che ‘ufficialmente’ si racconta in questo romanzo, bensì di un medico, sordo, candidato a un importante premio scientifico. Un medico che vive a Parigi, con moglie e due figlie e torna al suo paese di origine per vendere la casa di famiglia, la casa dove ha vissuto quel bambino sensibile, curioso e fantasioso di cui dicevo prima. Un paese imprecisato, immaginario. Perché la fedeltà narrativa, l’aderenza al reale mal si accompagna all’impalpabile atmosfera di sogno nella quale si svolge l’intero racconto. Questo mi è sembrato l’ordito sul quale Giuseppe Lupo ha mirabilmente intrecciato la trama di un viaggio nella memoria più profonda del protagonista, riuscendo così a dar corpo e contorni precisi alle storie (vere o inventate) che certamente quel bambino aveva ascoltato. Credo di aver individuato, leggendo L’albero di stanze, un gran gioco di rimbalzi tra una scrittura sospesa fra l’ingenuità della favola e la radicalità di un’antropologia arcaica, a metà strada tra religione e superstizione, caratterizzata da un linguaggio popolare e aulico nello stesso tempo, messo in bocca a personaggi così poco acculturati che temono persino che in famiglia possano verificarsi pericolosi smottamenti verso il mondo degli inchiostri. Personaggi di grande intelligenza, che però non sempre sembrano in grado di padroneggiare questo linguaggio, del quale fanno ugualmente uso, avendolo per lo più orecchiato e ripetetuto senza convinzione, per abitudine: “conosce la lingua delle montagne”, “colpescuro”, “quando capì che lo sconosciuto non dava parvenza”, “spalancava finestre aperte alle promesse del vento”. Ma anche un linguaggio che sembra mutuato da formule magiche: “scale che si maritavano ad altre scale”, “vola con l’angelo che gli dice di non svelare confidenze” (c’entra mica Chagall con questa immagine? A me pare proprio di sì). Se ho pensato ai quadri di Chagall vuol forse dire che siamo davvero in un mondo immaginario, nell’ovatta dell’astrazione pura: anche l’arrivo del terzo millennio, vissuto in diretta, ci rimanda a miti elaborati sull’onda di tante storie raccontate più volte. E intanto riemergono evidenti altre emozioni, quelle certificate dai frequenti rinvii alla Bibbia, e non solo per il ricorso a certi nomi, ma anche per gli intercalari di formule, brandelli di proverbi, preghiere e distorte citazioni latine, litanie... Pura astrazione, insomma: la sublimazione di mille e mille letture e dei ricordi delle storie di famiglia mescolate fra loro come l’impasto di calce e farina usato dal capostipite per innalzare ‘l’albero di stanze’, con la deliberata consapevolezza di ignorare le più elementari leggi della statica e con buona pace pure di ogni compatibilità con le regole dell’edilizia. E come in ogni racconto che ha a che fare con le favole, non poteva mancare la magia che si fa spazio, per esempio, con la prodigiosa guarigione di una bambina grazie alla semplice imposizione di una pietra nera. All’astrazione ben si accompagnano certe rappresentazioni visionarie, direi felliniane, come nel caso dell’uomo Pelikan che ho quasi visto spiccare il volo, staccandosi dal cappuccio di una vecchia stilografica. Ho creduto, però, di trovare la radice vera del romanzo nel profondo senso della famiglia: è il timore della sua dissoluzione o della sua possibile assenza la vera protagonista di tutta la storia. Un’assenza che si manifesta con diversi toni, a diverse profondità, in diversi ambiti. Me lo fanno credere le frequenti pause narrative dedicate a moglie e figlie del protagonista, la famiglia attuale (rimasta a Parigi in attesa del nuovo millennio e del rientro di Pépé Babèl ). Pause che si intrecciano con la famiglia passata, antica: una saga familiare che si dipana attraverso un secolo intero, punteggiata da partenze e scomparse che non consentiranno mai di vedere occupata per intero la grande casa di un’intera famiglia: “i nostri figli se ne andranno... ... abbiamo messo al mondo un albero malato” Per concludere, c’è un passaggio che, secondo me, svela l’idea che ha spinto Giuseppe Lupo a scrivere L’albero di stanze: “... non aveva un passato da dimenticare, solo un avvenire da attendere con la freschezza della sua gioventù” una magnifica e sintetica rappresentazione dell’entusiasmo che accompagna chi, forte della propria identità (mai rinnegata) è partito non soltanto per necessità, ma per una consapevole scelta indipendente: “per seguir virtute e canoscenza” Romolo Chiancone - Padova, 12 ottobre 2015

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Giuseppe Lupo

1963, Atella

Giuseppe Lupo (Atella, 27 novembre 1963) è uno scrittore e saggista italiano.Insegna letteratura italiana contemporanea presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano e Brescia. Ha esordito nella narrativa con il romanzo L'americano di Celenne (Marsilio 2000), con cui nel 2001 ha vinto il Premio Giuseppe Berto e il Premio Mondello opera prima, e nel 2002, in Francia, il Prix du premier roman. Successivamente ha pubblicato i romanzi Ballo ad Agropinto (Marsilio, 2004), La carovana Zanardelli (Marsilio 2008; Premio Grinzane Cavour-Fondazione Carical e Premio Carlo Levi), L'ultima sposa di Palmira (Marsilio 2011; Premio Selezione Campiello e Premio Vittorini), Viaggiatori di nuvole (Marsilio 2013; Premio Giuseppe Dessì), L'albero di stanze (Marsilio 2015; Premio...

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