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Anno edizione: 2011
Anno edizione: 2010
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Premessa Da dieci anni, data della pubblicazione, il saggio di Magri è sulla mia scrivania. Ogni lettura ha il suo tempo e ora è arrivato il mio. Ho letto questo grandioso affresco per almeno tre ragioni: - Comprendere l’universo comunista da chi lo ha vissuto con passione - Rendere omaggio a Lucio Magri, una delle menti più brillanti del novecento - Rileggere gli anni sessanta che ho personalmente vissuto L’incipit Nella città di Ulm un sarto era convinto di poter volare con una sorta di macchina, ma si schianta al suolo. Siamo alla fine del Cinquecento e, alcuni secoli dopo, si riuscì a volare. L’apologo di Brecht nell’introduzione è un sogno realizzato, un buon inizio e una speranza per la sinistra che, chissà, rimetta le ali. In media res “Il sarto di Ulm” è un saggio di orizzonti ampissimi, scritto con rigore, con una distanza critica e autocritica impeccabile da cui traspare passione politica. Dico passione, non emozione: il saggio è asciutto, documentato e con molti rimandi. “Il lungo sessantotto italiano” non è solo un capitolo, ma è uno spirito che aleggia in molta parte del lavoro. Lo sottolineo per quanti, come me hanno vissuto questa stagione. L’emozione che non era presente nel rigore documentale irrompe alla pagina 387 con un privato doloroso: “Arrivo ora all’ultima tappa del mio lavoro, la fine del Pci. Ci arrivo in condizioni pessime. Anzitutto e soprattutto perché, dopo un breve intervallo, riprendo la penna in mano nel momento in cui vivo un dramma personale profondo. È scomparsa la mia amatissima compagna Mara: non solo un dolore, ma una amputazione di me stesso che non si rimarginerà (...)”. Oltre al dolore Magri ci dice della promessa fatta a Mara, di condurre a termine il lavoro. Il saggio è un testamento politico che, dopo la sua morte nel 2011, ha incontrato una vendita incredibile e ha consentito a molte persone di approfondire, ripensare, sperare. Un saggio possente di 450 pagine il cui indice articolato pilota il lettore e, vi assicuro, non accade in tutte le pubblicazioni. Desidero sottolineare due aspetti di questo libro. - L’attenzione colta e documentata sull’aspetto economico e sul lavoro. Lucio Magri ha fatto parte della “commissione di massa” del PCI, in via delle Botteghe Oscure, nei primi anni sessanta. Riesce a “vedere oltre”, infatti se pensiamo che il libro risale al 2009 e si intravede un mutamento dell’organizzazione del lavoro, non dico il modello Amazon, ma molto vicino, credo proprio che Magri avesse grandi maestri e una visione profetica del mondo. - Il secondo aspetto è dato dalla grande capacità narrativa. Uno “scavo” continuo che si arrotola e ti arrotola e non ti fa lasciare la narrazione fino alla fine. “Uno stile grazie al quale, per usare la formula ado-perata dal maestro della critica letteraria italiana, Francesco De Sanctis, “la forma è la cosa stessa”. Questo stile esprime infatti una forma peculiare di rigore, fondata su una vera e propria “disciplina della memoria”, che consente a Magri di coniugare in modo originale, senza compiere alcuna forzatura, il carattere soggettivo della sua autobio-grafia politico-intellettuale con l’oggettività di una ricostruzione storica robustamente documentata.” (Eros Barone). Grazie, Lucio
Quella di Lucio Magri è una lucida analisi della storia del PCI ed in particolare delle scelte che hanno portato, come conseguenza, lo scioglimento del Partito. Alcune descrizioni delle modalità decisionali e degli approcci teorici degli esponenti comunisti andrebbero riletti come suggerimenti per gli attuali esponenti della Sinistra italiana. Magri era un dirigente, anche se minore, conscio della necessità di studiare ed analizzare in modo scientifico la realtà per poterla cambiare!
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