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Il miglior film del 2006, che meritava un pò più attenzione da parte di tutti, ha pagato sicuramente lo scotto del molto più pubblicizzato e deludente "Flags of our fathers", che parte dallo stesso episodio (Jwo Jima) e dalla stessa idea (scavare nell'animo e nei pensieri di un soldato). Un vero peccato, perché i due film sono completamente diversi sia nella trasposizione che nel risultato finale: un salto di tre categorie, un vuoto che viene creato e riempito dalle parole di una madre che ti accomunano al tuo peggior nemico o da quei gesti di umanità che spingono la tua mente ed il tuo cuore oltre il colore di una divisa, facendoti immediatamente riconoscere quello spirito di uguaglianza e fratellanza di cui spesso ci si dimentica ma che è dentro di noi, incastonato nella nostra anima. Dopo il passo falso fatto con "Flags of our fathers", Clint Eastwood ritrova, quindi, lo stesso tocco magico degli ultimi due capolavori che ci aveva regalato ("Mystic River" e "Million Dollar Baby"): con Paul Haggis ha formato una coppia imbattibile destinata a rimanere nel firmamento del cinema... Azzeccatissime (se non obbligatorie) le scelte della lingua originale e di tutto il cast che è stato assolutamente all'altezza della situazione perché non è affatto vero, come si è detto da più parti, che il solo Ken Watanabe regge il film. E' stato, infatti, grazie a tutti loro che quei soldati, caduti uno dopo l'altro come quelle lettere, hanno rivissuto e rivivono negli occhi umidi dello spettatore...
Eastwood ha voluto offrirci i due lati, ambedue oscuri, della medaglia: il punto di vista yankee, e quello altro, nello specifico quello dei musi gialli. Allora guardate "Flag of Our Fathers", e poi affrontate questo "Lettere da Iwo Jima". Lo strillo della copertina comunica la versione doppiata in italiano, ma se anche non fosse, non fatene una tragedia. Io vidi il film in sala, all'uscita, sottotitolato (era disponibile, peraltro, solo così), ed ero in parte dubbioso, perché più di 120' coi sottotitoli, per di più per un genere, il war, che non mi esalta, mi frenavano un po'. Fortunatamente, il mio spirito cinéphile prevalse, e quando apparvero i titoli di coda ero ancora col volto incollato allo schermo, e pensai: "Come, è già finito?". Insomma, non importa dove o come vedi un film, se è un'opera che conta, alla fine saprai apprezzarla. Da urlo, e da lacrime, più di "Flag".
Il film è secondo alcuni il gemello del precedente "Flag of our father" e in un certo senso ne riprende alcuni temi come l'anti-retorica della guerra e la reale condizione dei soldati. Ma mentre nel primo film, Clint Eastwood, si concentra sulla creazione dei falsi miti che si creano in guerra nel secondo film ci si cala più a fondo nelle vicende personali dei soldati, costretti a combattere una guerra che non hanno scelto loro e che possono al massimo fingere di sostenere. Il punto di vista scelto per narrare questa storia è poi senza precedenti, quello che per noi occidentali rappresentava il nemico, ovvero i giapponesi. Ci si renderà conto come dietro i kamikaze, i fanatici e altre figure ben note dalla storia e dalla cultura ufficiale c'erano delle persone, più simile a noi di quanto possiamo immaginare e con cui forse potremmo arrivare perfino a sodalizzare e a comprendere. In ciò il film di Eastwood c'entra in pieno l'obiettivo. Un film da non lasciarsi scappare per chiunque sia appassionato di film sulla guerra.
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