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Quando per un viaggio organizzato si ritrova nel ruolo insolito di guida tra le strade di San Pietroburgo, Paolo Nori scopre che i turisti sono più interessati a visitare la casa dove nella finzione abitava il protagonista di Delitto e castigo che non la sede della polizia dove Dostoevskij fu nella realtà processato. E d’altra parte è per noi più reale Anna Karenina delle sue contemporanee in carne e ossa, perché come diceva Šklovskij: «Quello che c’è scritto in Anna Karenina è più vero di quel che scrivono sui giornali e nelle enciclopedie». Così, dopo quarant’anni di frequentazione, tra libri letti, amati e tradotti, Nori scrive il suo Corso sintetico di letteratura russa, che di accademico ovviamente non ha nulla. Esilarante e rocambolesco, sbilenco e a suo modo intimo, passa in rassegna le idiosincrasie e il genio dei grandi autori: da Puškin che per primo e forse per caso abbandona l’aristocratico francese per scrivere «nella lingua dei servi della gleba», creando di fatto il romanzo russo, a Erofeev che in piena dissoluzione dell’Urss riempie di bestemmie un capitolo del suo Mosca-Petuški, mettendo però cortesemente in guardia le lettrici; da Tolstoj che in una lettera dice di non poterne più di scrivere «la noiosa, la triviale Anna Karenina» a Dostoevskij che si considera «un uomo felice che non ha l’aria contenta»; da Gogol’ che dopo ogni (supposto) fiasco fugge all’estero fino a Brodskij che si fa dettare dall’agente del Kgb il motivo della sua stessa richiesta di espatrio. Eppure se anche davvero I russi sono matti, hanno creato in appena due secoli una delle più grandi letterature mai esistite, capace di cogliere l’umorismo tragico dell’esistenza e di togliere l’“imballaggio” alle parole, restituendo loro tutta la forza poetica perduta nell’uso, di cogliere l’intraducibile byt (diciamo per semplicità: la vita) nel suo farsi, di costruire romanzi pieni, come diceva un detrattore di Puškin, di «scenette insignificanti da vite insignificanti», ma che forse proprio per questo ancora oggi ci sembrano più veri del vero.
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Se c'è una dote che a Paolo Nori non manca, è il sapere come trasmettere ai propri lettori la passione per la letteratura russa. Anche in questo caso centra il bersaglio, riuscendo in un colpo solo ad essere sia commentatore istrionico della vita dei principali scrittori russi a cavallo tra 1800 e 1900, sia ad offrire una panoramica delle tematiche e degli stili usati da alcuni di questi autori. Il tutto poi, senza peccare di superficialità, viene presentato in modo estremamente piacevole e facilmente fruibile anche dai non addetti ai lavori. In una parola: consigliatissimo!
Ovviamente, a dispetto del sottotitolo, non si tratta di un manuale di letteratura russa. Non c’è un approccio analitico o cronologico alla materia. Riflessioni e aneddoti si raccolgono intorno a tre temi chiave (il potere, l’amore, la vita quotidiana), che sono declinati tenendo conto dell’indole, della struttura sociale e della Storia del popolo russo. Nori ha uno stile ironico e leggero che però lascia trasparire il grande amore per l’oggetto della sua trattazione. Mescola esperienze personali e biografie di autori famosi e meno, si sofferma su romanzi e racconti prediletti (‘Anime morte’ e ‘Anna Karenina’, per citarne due), lasciando brevi tracce di altri, sufficienti a destare la curiosità del lettore. Forse è meglio aver già frequentato l’universo letterario russo per aver chiari alcuni riferimenti, ma tutto sommato il testo è comunque godibile anche per chi cerca uno sguardo non accademico sulla materia.
Raccontare la letteratura russa è un'impresa ardua, con la sua mole inquietante e irrequieta di nomi, accenti, ramificazioni familiari, patronimici e, non da ultimo, pagine. Paolo Nori riesce a fare qualcosa di più straordinario: raccontarla, con gli occhi dell'amante (e dello studioso), in una narrazione dissacrante, che pare, a tratti, nonsense, pur mantenendo sempre altissimo l'interesse del lettore, accompagnato, magistralmente, in un viaggio tra russo, italiano, dialetti, parlato, scritto, romanzi, romanzieri e poeti, aneddotica personale. Ne esita un florilegio accattivante. Straordinario il cammeo sul sacro e la sacralità, profana e personale, di alcuni momenti di quotidianità, accuratamente selezionati, della vita di ciascuno.
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