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Romanzo post-moderno dove il narratore non è infallibile anzi non è proprio attendibile, da questa premessa Barnes non mette in discussione soltanto il senso di una fine (o del finale) ma anche il senso della storia (rapporto tra vinti e vincitori); il senso della memoria e delle certezze personali che da essa derivano, facendo attribuire al passato l'incertezza tipica del futuro.
Romanzo semplice e complesso nello stesso tempo, che alla fine ti lascia l’amaro in bocca e la consapevolezza che forse, per quanti sforzi facciamo nella giovinezza e nella vita di crearci una immagine, in realtà o questa creazione è fasulla o della vita, del prossimo, degli amici, del destino non abbiamo capito niente. Ci interroghiamo sempre sul senso della vita, della morte, del tempo, buttiamo lì risposte piene di baldanza ma che non hanno una spiegazione vera. Amore , dolore, morte sono i punti cardinali della vita. Ma molto spesso siamo trascinati ad occuparci di banalità, credendo che siano importanti, mentre le cose importanti diventeranno tali sotto i nostri occhi solo molto tardi, quando li vedremo sotto un’altra luce e un’altra prospettiva. E chissà se si riuscirà veramente a capire e a interiorizzare “Il senso della fine”?
Basta poco a sconvolgere la concezione che si ha della propria vita, della propria storia. La memoria modella il passato in una forma rassicurante, ma un banale episodio può scatenare una riscoperta di sé e degli altri fino a un totale rinnegamento delle certezze conseguite fino a quel momento. Lo smarrimento del protagonista è da monito per il lettore: anche la persona più comune può scoprire di non conoscere se stesso. E' un'invito a mettere tutto in discussione o ad arrendersi all'incontrollabilità di quel Tempo e di quella Memoria, scultori indipendenti?
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