Ucronia è termine entrato in uso nella seconda metà dell’800 per definire qualcosa che non è avvenuto ma che sarebbe potuto avvenire, una variante di fatti storici rimasta in potenza ma che ragionevolmente possiamo ritenere avrebbe potuto avverarsi se a Waterloo von Blücher avesse sbagliato strada, o se Cleopatra avesse avuto un naso più carino, o se Lee Harvey Oswald avesse sbagliato mira. Inutile dire che lo sviluppo di un “piano B” della storia, esercizio ozioso e quindi evitato dagli storici di professione, può trovare e di fatto ha trovato terreno fertile nella fantasia dei creatori di fiction, per i quali l’ucronia può essere utile espediente sia per dare particolare originalità a un romanzo storico, sia per riscrivere storie collettive o individuali in modo che soddisfino in chi scrive e in chi legge desideri di catarsi, di rivincita, di consolazione. Di tutto ciò si occupa il delizioso pamphlettino “Ucronia” firmato negli anni ‘80 del secolo scorso da Emmanuel Carrère e recentemente tradotto e pubblicato da Adelphi, un libriccino che oltre a procurare grandissimo piacere e divertimento, è anche un utilissimo indice di opere ucroniche note e meno note, dal romanzo storico-filosofico di Charles Renouvier, cui va il copywright del termine Ucronia, alla Svastica sul sole di Philip Dick, dal revanscismo di Geoffroy fino al divertissement “Les enfants du bon dieu” di Antoine Blondin, in cui un giovane insegnante di storia partendo da premesse autentiche elabora vicende mai avvenute, il che ci fa sorridere perché è un romanzo e perché alla fine il comunque benevolo mentitore viene ricondotto a un più serio esercizio della funzione docente; dovrebbe farci ridere molto meno quando a falsificare la storia non sono creature romanzesche bensì persone reali, perché ci vuol niente a farci credere che si stava meglio quando si stava peggio e a entrare in una maligna ucronicità in cui l’avvenire è cosa certa mentre il passato diviene reminiscenza sempre più improbabile.
Ucronia
Proprio quando sembra rivestire i panni del teorico sottile e distaccato, Carrère ci trascina nel laboratorio da cui sono nati I baffi e L’Avversario, dove vite parallele e alternative sgretolano quella fragile costruzione che è la nostra identità. E ci svela che, dalle più innocenti rêverie retrospettive fino alle devianze che sogniamo o paventiamo, l’ucronia è sempre dentro di noi.
«Il mondo come avrebbe potuto o dovuto essere, le vite possibili e alternative che sogniamo o paventiamo: tutti i segreti dell’illusione ucronica».
Nel romanzo di Sarban Il richiamo del corno, un ufficiale della Marina britannica sperimenta l’incubo di risvegliarsi in un mondo nazificato, dove i prigionieri-schiavi sono selvaggina per la caccia di un feroce sovrano: un’allarmante rappresentazione della storia come avrebbe potuto svolgersi – o ucronia, come l’ha definita nel 1876 Charles Renouvier. Che nasca dal rimpianto o dalla ribellione, da un credo filosofico-religioso o dall’attrazione per gli infiniti possibili, ogni opera ucronica è destinata a falcidiare certezze, a dinamitare la nostra visione del mondo, giacché insinua il dubbio che la storia sia un gigantesco trompel'œil e che anche la più confortante realtà possa di colpo vacillare, spalancando abissi angosciosi. A questo sovversivo genere letterario, cui lo lega una tenace passione, Emmanuel Carrère ha dedicato una seducente riflessione che, oltre a ripercorrerne le tappe salienti, ne addita le sconcertanti implicazioni: i regimi totalitari non hanno del resto adottato la tecnica ucronica per imporre una storia controfattuale?
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Anno edizione:2024
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Luca 02 gennaio 2025
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