La trama del romanzo è abbastanza particolare e originale, tuttavia non mi ha entusiasmata. Al di là della bravura dell'autrice nel descrivere i paesaggi - sembra proprio di essere immersi in questa Sicilia calda e ricca di vegetazione- la vicenda della famiglia Carpinteri mi è sembrata poco chiara ed è stato difficile tenere il filo degli eventi. Si sono toccati temi importanti (lo sfruttamento di immigrati, la mafia) ma in maniera superficiale e soprattutto non ho trovato il collegamento tra gli stessi e il resto della storia.
Il veleno dell'oleandro
Pedrara. La Sicilia dei Monti Iblei. Una villa perduta sotto alte pareti di roccia tra l'occhieggiare di antiche tombe e il vorticare di corsi d'acqua carezzati dall'opulenza degli oleandri. È qui che la famiglia Carpinteri si raduna intorno al capezzale di zia Anna, scivolata in una svagata ma presaga demenza senile. Esistono davvero le pietre di cui la donna vaneggia nel suo letto? Dove sono nascoste? Ma soprattutto, qual è il nodo che lega la zia al bellissimo Bede, vero custode della proprietà e ambiguo factotum? Come acqua nel morbido calcare i Carpinteri scavano nel passato, cercano negli armadi, rivelano segreti - vogliono, all'unisono, verità mai dette e ricchezze mai avute. Tra le ombre del giorno e i chiarori della notte, emergono influenze di notabili locali, traffici con i poteri occulti, e soprattutto passioni ingovernabili. Le voci di Mara, nipote prediletta di Anna, e di Bede ci guidano dentro questo sinuoso labirinto di relazioni, rimozioni, memorie, fino a scavalcare il confine della stessa morte. Simonetta Agnello Hornby mette a fuoco un micromondo che pare allargarsi, con un brivido, a rappresentare i guasti, le ambizioni e le ansie di liberazione dell'universo famigliare, tutto intero.
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Autore:
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Anno edizione:2013
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ALICE PIVETTI 16 febbraio 2014
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Pedrara, cittadina d’invenzione situata tra i monti Iblei, dipinta dall'autrice Simonetta Agnello Hornby, con pochi tratti descrittivi decisi, poche frasi che racchiudono in loro, tutta l’essenza dei territori siciliani di quell’entroterra: l’asprezza dei terreni, la vegetazione rigogliosa e selvatica dei giardini, i freddi corsi d’acqua, le luci, i profumi, di una terra tanto affascinante quanto ricca di chiaroscuri. Al centro di questo quadro sapientemente costruito, troviamo il palcoscenico su cui danzerà tutta la narrazione, una villa, incastonata come un gioiello nascosto a valle tra quelle mura montane, e osservata dall’alto di queste, da antiche tombe. Ed è proprio dalle parole di un defunto, Bede, uno dei personaggi chiave del romanzo, che veniamo introdotti in una fittissima rete di flashback che raccontano avvenimenti, apparentemente slegati tra loro, che confluiranno in un unico cordone narrativo in cui si intrecciano le storie dei membri della famiglia Carpinteri, un microcosmo sfaldato, fatto di segreti e rancori mai sopiti, che prenderanno corpo nella voce narrante di Mara, figliastra e nipote prediletta di Anna, anziana proprietaria della tenuta che alterna i pochi momenti di lucidità ai deliri dell’alzheimer. Non è casuale che tutti i membri di quella famiglia, residenti in altre regioni d’Italia, siano costretti dalle circostanze a riunirsi in quel luogo, quello delle loro origini, quello da cui provengono i loro fantasmi personali, Pedrara. L’autrice sembra prediligere l’azione manifesta dei personaggi nella vicenda, piuttosto che dare risalto all’essenza di quello che gli si agita nell’animo e che ha permesso loro di giungere a quella deriva. Il suo scopo non sembra quello di voler creare un’empatia tra essi e il lettore, ma rendere manifeste, attraverso il loro agire nella narrazione, tematiche scottanti e attuali, (sfruttamento degli immigrati, associazione mafiosa, violenza sulle donne, anoressia, omosessualità, bisessualità, sadomaso e molto altro), senza, volutamente, darne un giudizio, che lascia esprimere intimamente al lettore. I personaggi dunque, sembrano essere un veicolo per quella data tematica che, necessariamente, non può né deve essere identificata o in qualche modo giustificata col vissuto personale e fantasmatico del personaggio che ne è coinvolto, né può, tuttavia, essere approfondita in modo fine a se stesso, perché si necessita che rimanga inerente alla trama del romanzo che, nonostante l’importanza e la densità delle tematiche trattate, rimane scorrevole nella lettura. “Sappiate tutti che, se doveste rimanere a Pedrara, lo fareste a vostro rischio.” Questo avvertimento, aleggia, inquietante, su tutto il romanzo. Ed è un rischio ancora più grande di quello legato ai loschi traffici di clandestini gestiti da poteri occulti e notabili locali all’interno della tenuta, un rischio ancora più grande dell’ossessione per la ricerca del tesoro in gioielli vaneggiato da Anna sul letto di morte. Tutti i personaggi corrono questo rischio e lo subiscono, nessuno ne è indenne. S’insinua lento, come un veleno, che uccide le loro illusioni, scarnifica le loro maschere in quello che è il filo conduttore di tutto il romanzo, l’amore. Passionale, ossessivo, senza alcuno schema, l’amore semplice e voluttuoso, come il fiore dell’oleandro che costeggia i giardini della villa, come il ritornello del malinconico canto dei rifugiati del Mali che viene portato nel vento dalle serre, fino alla villa: “love is love, hate is hate”. Tutti i personaggi sono mossi da questo filo, che li lega, li incatena e strangola le loro vite senza che loro ne abbiano piena coscienza, fino al loro arrivo alla villa, fino a che non entreranno in contatto con i segreti che questa racchiude e non ne aspireranno il profumo, lasciando che il veleno di quel fiore li uccida e guarisca. Nessuno di loro, infatti, vivrà più se stesso, allo stesso modo. Liberi, in un modo o nell’altro, da loro stessi, nel momento in cui lasceranno la villa e Pedrara. L.P.
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