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Marta Morazzoni introduce in 10 parole chiavi La casa in collina: collina / mito / città / guerra / donna / paternità / stagioni / paura / impegno / mondo di dopo
«Già in altri tempi si diceva la collina come avremmo detto il mare o la boscaglia. […] per me non era un luogo tra gli altri, ma un aspetto delle cose, un modo di vivere»: è l’incipit del romanzo perfetto che Pavese ha scritto tra il ’47 e il ’48, a caldo sugli avvenimenti della guerra appena conclusa, ma con rigore e lucidità prospettica. Tra le colline delle Langhe il protagonista, Corrado, è nato; lì si è forgiato e ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza all’unisono con la terra, gli alberi, gli animali: è un imprinting che si porta dentro per sempre, anche ora che, adulto e professore, vive sulla collina alle spalle di Torino e ha per amico un cane, il cane delle sue padrone di casa."M'accorgo adesso che in tutto quest'anno, e anche prima [...] quand'eravamo ancora giovani e la guerra una nube lontana, mi accorgo che ho vissuto un solo lungo isolamento, una futile vacanza, come un ragazzo che giocando a nascondersi entra dentro un cespuglio e ci sta bene, guarda il cielo da sotto le foglie, e si dimentica di uscire mai più". Fino a qualche tempo fa è stata questa la vita di Corrado, professore piemontese che lavora a Torino e vive in affitto in una casa della collina torinese. Gli è sempre piaciuto stare da solo e passeggiare per le colline con l'unica compagnia del cane delle sue padrone, Belbo. Fin quando una sera, durante la sua passeggiata, sente delle persone cantare presso un'osteria e rivede Cate, la fidanzata di un tempo. Ed ecco che comincia a frequentare l'osteria e questo gruppo di partigiani. Cate ha un figlio: sarà di Corrado? La donna non glielo dirà mai. Sullo sfondo la guerra, l'armistizio, la lotta partigiana e la fuga di Corrado, ricercato dai Tedeschi, nella casa paterna, a chiedersi cosa ne sarà di loro e se, e quando, finirà la guerra.
Cesare Pavese ha voluto mostrare, in una singola persona, due tipologie, due comportamenti nei confronti della guerra, come se ci fossero due Corrado (il protagonista). Una tipologia era quella dell'uomo misantropo, che vuole allontanarsi dalla società e dal rumore della guerra, rifugiandosi in un luogo idilliaco, quale la collina, in cui poter osservare il mondo dall'esterno, la città che brucia e che urla poichè la guerra la sta massacrando. L'altra figura è quella di un uomo che spera nella guerra, con un senso abbastanza cinico e freddo nei confronti di quello che sta accadendo. Un uomo che sebbene cerchi di allontanarsi dalla battaglia, ne sente comunque l'eco, qualsiasi parte lui vada. Vengono mostrati i dolori di un uomo che si vede tagliato in due parti: da un lato l'uomo solitario, che ama passeggiare tra i boschi con il suo unico vero amico: il cane Belbo; mentre dall'altro lato abbiamo l'uomo che vuol godere della compagnia di un gruppo di persone che si ritrova quotidianamente all'osteria sulle colline, all'insegna di danze, canzonette e discorsi sulla guerra.
Pavese è uno degli scrittori del mio cuore, amato fin da piccola. Già dal titolo si percepisce un distacco, che è quello del protagonista dalle cose del mondo, la guerra, l'amore, la paternità, la vita stessa infine. Sentimenti e sensazioni rincorse, cercate, sognate ma in fondo mai volute veramente. Il suo dramma è in quel conflitto tra immaginazione e realtà, che lo porta a sfuggire i dolori che la vita vissuta per intero inevitabilmente comporta. Da qui la vergogna di sentirsi inadeguato, di non meritare l'amore e nemmeno la morte. Un libro carico di un dolore sordo, inespresso, e per questo ancora più intenso. Non si scrivono più libri così. Non ci sono più scrittori come Pavese.
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