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Ho finito di leggere “Addio a Berlino” di Christopher Isherwood, che dire… bellissimo. Il modo in cui Isherwood descrive le cose realizza appieno quanto si propose di fare proprio in questo magnifico libro: “Io sono una macchina fotografica con l’obiettivo aperto.” E ci riesce stupefacentemente, assolutamente, meravigliosamente, innegabilmente… Inizio ad amare Isherwood sempre di più; dopo “Un uomo solo”, “Addio a Berlino”, diario degli inizi degli anni ’30 (1930-1933, per essere precisi), nel quale descrive gli accadimenti che più lo hanno colpito, in termini di conoscenze, avvenimenti politici, culturali, arrivando a cogliere financo i cambiamenti psicologici nella popolazione berlinese in modo quasi previdente, direi, come quando, con un’eleganza stilistica del tutto invidiabile, scrive, dopo che ha avvisato la signora che gli ha dato per parecchio tempo alloggio a Berlino che ripartirà per l’Inghilterra: «È inutile cercare di spiegarlo o parlare di politica. Lei si sta già adattando, così come si adatterà a ogni nuovo regime. […] Si sta semplicemente acclimatando, in ossequio alla legge naturale, al modo di un animale che cambia il pelo ai primi freddi. Migliaia di persone come Fraulein Schroeder si stanno acclimatando. Dopotutto, chiunque sia al governo, sono condannate a vivere in questa città», mi piace senza riserve di alcun genere.
Questo romanzo fornisce una vista originale della Berlino nazista: il protagonista è un giovane inglese che insegna la sua lingua a ricchi tedeschi. Durante il suo soggiorno incontra tanti personaggi diversi: dalle affittacamere con i loro colorati ospiti, a varie donne di facili costumi, a ricchi sbandati, a nazisti convinti. Però nonostante le belle idee, la lettura non decolla mai, forse perché il protagonista, troppo impegnato a non dare giudizi non ci trascina da nessuna parte.
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