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E' stato proprio "La luna e i falò" a far nascere in me l'amore per la prosa e la poesia di Pavese. Autore tormentato che ha dato vita ai veri capolavori della letteratura italiana neorealista. Le trame apparentemente semplici si scontrano con la complessità di questo autore, che è sempre un piacere leggere e rileggere. Questo romanzo in particolare, offre al lettore la possibilità di immergersi in un modo primitivo, quello della terra d'origine di un uomo, che dopo aver cercato e trovato fortuna in America torna in Italia. L' Italia è ovviamente è quella del secondo dopoguerra; quella piena di macerie, soprattutto dell'animo. Il protagonista nel corso dei capitoli si perde nel raccontare la sua storia triste, per poi giungere ad una profonda consapevolezza: l'importanza della famiglia e del luogo d'origine. Consiglio la lettura, ma raccomando al lettore estrema cautela: Pavese crea dipendenza!
Uno di quei libri immortali, non a caso considerato il capolavoro di Pavese, che restano dentro per sempre semplicemente perchè c'è 'un paese' in ognuno di noi, volenti o nolenti. Anguilla e la sua epopea, ma soprattutto quel suo tornare per meravigliare qualcuno che però non c'è più, la delusione di ottenere qualcosa di pur importante quando non importa più, ecco alcuni dei temi principali, oltre a quello classico del ritorno alle origini e la ricerca quasi spasmodica di radici che possano testimoniare d'esserci stati, d'aver vissuto... l'ho letto almeno sette volte, ogni volta ci ho scorto dentro qualcosa che m'era sfuggito la volta prima. Penso che questo fatto faccia la grandezza d'un libro, la scoperta senza fine... Amaro e reale fino all'autolesionismo, contiene tutta la filosofia di vita di un autore che ha saputo comunque interpretare i disagi e le ansie di molti e non a caso e' stato il libro conclusivo, il testamento di Pavese. Il libro tra quelli letti che ho più amato, assolutamente senza tempo.
Libro particolare, impegnativo, ma bellissimo! E' il periodo successivo alla lotta partigiana antifascista ed alla Liberazione. Anguilla, dopo molti anni trascorsi in America a cercar fortuna, torna al suo paese d'origine sulle colline delle Langhe, alla ricerca delle proprie radici. Ritrova l'amico Nuto, con il quale ripercorre i luoghi della propria vita adolescenziale. Alla Mora, vendemmiava, sfogliava, torchiava; mangiava il coniglio con la polenta e andava per funghi. In quella terra era cresciuto, tra canne e cascine sperdute, tra il Belbo e Canelli, lavorando, soffrendo, andando alle feste di paese. C'erano i falò e "la notte di San Giovanni tutta la collina era accesa". Ora, Anguilla desidera soltanto vedere qualcosa che ha già visto: "carri, fienili, una bigoncia, una griglia, un fiore di cicoria, un fazzoletto a quadrettini blu, una zucca da bere, un manico di zappa". Il suono di una martinicca risveglia in lui tutte quelle cose che si è portato dentro tutti quegli anni. Quelle cose che "non sapeva più di sapere". E "non sapeva che crescere vuol dire andarsene, invecchiare, vedere morire, ritrovare la Mora com'era adesso". Anguilla ha fatto fortuna ed è tornato, ma le facce, le voci e le mani che dovevano toccarlo e riconoscerlo non ci sono più: "Pareva un destino. Certe volte mi chiedevo perché, di tanta gente viva, non restassimo adesso che io e Nuto, proprio noi" ? "Di tutto quanto della Mora, di quella vita di noialtri, che cosa resta?" Questo libro parla di tanta sofferenza e di cose semplici come "una ventata di tiglio la sera". Le descrizioni chiare e dettagliate stimolano l'immaginazione visiva del racconto che, pur non presentando dialoghi, solo qualche battuta, mantiene il proprio magnetismo sino alla fine. E' stata una lettura difficile, ma che mi ha dato tanto. Ora, anche in me un suono familiare risveglia qualcosa che non sapevo più di sapere. E, forse, riuscirò a gioirne prima che essa si consumi, sotto la luna, al fuoco di un falò.
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