Più che una serie di racconti, Vite Minuscole è un trattato sulla scrittura, sulla capacità di creare empatia, sulla bravura di affrontare con stile e dignità le piccolezze umane. Vite Minuscole è una canzone di Tenco, un sorso di un buon amaro, un modo di riconcilarsi con il mondo dopo averne letto i suoi aspetti più ancestrali. Un libro meraviglioso, dove il contrasto tra lo stile di scrittura aulico e le storie di una mediocre quotidianità si amalgamano in un risultato unico.
Vite minuscole
Libro vincitore del Premio Giuseppe Tomasi di Lampedusa 2024
Vite minuscole esce in Francia nel 1984. È il primo libro di uno scrittore ignoto al milieu letterario, ma è subito chiaro che si tratta di un esordio folgorante.
«Una raccolta di otto ritratti e in un tormentato romanzo di formazione, sebbene indiretto. È qui, in questo peculiare incrocio tra la prima e la terza persona, l’eccellenza del libro; ma è anche qui che si rivela la sua natura intima.» – Franco Cordelli, La Lettura del Corriere della Sera
Molto audace: recuperando una tradizione che risale a Plutarco, a Svetonio, all'agiografia, Michon ci racconta le vite di dieci personaggi non già illustri o esemplari, ma, appunto, minuscoli: e dunque votati all'oblio se non intervenisse a riscattarli una lingua sontuosa, di inusitata e abbagliante bellezza, capace di «trasformare la carne morta in testo e la sconfitta in oro». Vite come quella dell'antenato Alain Dufourneau, l'orfano che vuole «fare il salto nel colore e nella violenza», in Africa, convinto che solo laggiù un contadino diventa un Bianco e, fosse anche «l'ultimo dei figli malnati, deformi e ripudiati della lingua madre», può sentirsi più vicino alla sua sottana di un Nero; o come quella, lacerante, di Eugène e Clara, i nonni paterni, inchiodati nel ruolo di «tramite di un dio assentato» – il padre, il «comandante guercio», che ha preso il largo e da allora scandisce la vita del figlio come la stampella di Long John Silver, nell'Isola del tesoro, «percorre il ponte di una goletta piena di sotterfugi»; o come quella dei fratelli Roland e Rémi Bakroot, i compagni di collegio, torvamente sprofondati nel passato remoto dei libri il primo, nell'invincibile presente il secondo, e uniti da una rabbia ostinata non meno che da un folle amore. Santi o losers, paradigmi o catastrofici avatar del narratore, ciascuno di questi personaggi ha in qualche modo ordito il suo destino, istigato un'irreparabile lontananza, fomentato la convinzione che solo nella più inattingibile letteratura c'è salvezza.
«Dall'inverno venivano. E il loro cognome fangoso e testardo non mentiva: venivano anche, forse attraverso una lontana ascendenza di cui poco mi importa, ma molto più nel ceffo e nell'anima che in quel cognome sono inscritti, venivano anche profondamente dalle Fiandre. I fratelli Bakroot erano i rampolli dispersi di una specie di mistero medioevale, terrigno, insomma fiammingo; verso quel Nord la mia memoria li scaglia; lassù arrancano senza fine, l'uno incontro all'altro, in una landa di torbiere, di distese brulle e assediate dal mare, di polder e patate nane, sotto un cielo immensamente grigio alla maniera del primo van Gogh...».
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Collana:
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Anno edizione:2016
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Andrea De Mauro 30 novembre 2017
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Il libro cattura, avvolge: la scrittura densa, intensissima, evoca spiragli di immagini meravigliose, che si ritirano come si sono aperte. Attraverso piccole storie, spaccati di vita di personaggi inosservati, il narratore usa la sua vita per parlare di quella degli altri, e viceversa. Egli si apre al lettore con sincerità e profondità, scava tra le parole per dare valore a delle vite minuscole, e al contempo cerca se stesso tra gli altri, osservandoli e ammirando la bellezza che c'è in ognuno.
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Barbara PAVESIO BENEYTON 06 marzo 2017
Bellissimo libro che racconta appunto, in modo romanzato, le vite di personaggi veri conosciuti dallo scrittore. Uno stile per me abbastanza nuovo, che non saprei definire: antico, descrizioni precise e minuziose mai barocche o leziose, riferimenti a quadri o a filosofi francesi (che forse non tutti conosco). Insomma uno stile non "minuscolo" che forse vuole sottolineare quanto i meno famosi, i meno visibili siano invece le persone di Valore con la V maiuscola. Ma attenzione: gli, mi sembra, 8 personaggi non sono eroi. Reduce da Furore (ma capisco che questo paragone è decisamente azzardato) dove i dialoghi avevano la caratteristica di una parlata di provincia, qui è tutto l'opposto: eppure siamo nel centro della Francia, (con qualche scappata a Parigi o in Normandia), i protagonisti dei racconti sono persone semplici, contadini. Mentre leggevo a volte mi sembrava di essere davanti a un quadro o di essere in ascolto di una sinfonia di Beethoven. Fate voi. "Tutto ciò sotto il riso flebile, di argento freddo, d'un sole di gennaio"
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