La globalizzazione delle economie, contribuendo ad eliminare le barriere alla mobilità delle persone e dei capitali, è stata alla base della crescita degli investimenti aziendali localizzati all’esterno del territorio di origine delle sedi di impresa, secondo una modalità di azione che, se prima era quasi esclusivamente appannaggio delle grandi multinazionali, oggi appare sempre più un modus operandi anche per le realtà di medie dimensioni. Siffatto stimolo alla competizione ha spinto le imprese a ricercare quelle aree che, grazie alle loro intrinseche caratteristiche socio-economiche, territoriali, infrastrutturali, finanziarie e politiche, sono in grado di offrire convenienze localizzative sia in termini di maggiori ricavi, o di minori costi di gestione, o ancora di risparmio sugli investimenti e sui costi di start- up (grazie, ad esempio, alla possibilità di ottenere incentivi pubblici o condizioni creditizie particolarmente favorevoli). Tale allargamento in senso globale degli orizzonti localizzativi delle imprese, ha messo non solo i diversi Paesi, ma anche e soprattutto, i territori interni agli stessi, nella condizione di dover concorrere al fine di attrarre e mantenere gli investimenti produttivi, i quali si possono tradurre in incrementi dell’occupazione, in una crescita dei redditi locali, in un complessivo sostegno ai processi di sviluppo territoriale. Tale modo di leggere la competitività a livello territoriale appare come la base teorica che ha spinto l’interesse dell’autrice ad analizzare tutti gli strumenti creati dai Governi con lo specifico scopo di generare un ambiente maggiormente favorevole all’attrazione di investimenti esteri, la cui istituzione configura la presenza di enclaves territoriali e finanziarie che rinforzano i flussi di investimenti in entrata e in uscita. L’autrice, dunque, individua la presenza di enclaves territoriali nella competizione per l’attrazione di investimenti in agricoltura (land grabbing); nell’esistenza di programmi governativi che favoriscono amministrativamente e fiscalmente la localizzazione di aziende all’interno del proprio territorio (maquilladoras), a volte confinando tali vantaggi solo in alcune aree e non in tutto il Paese ad appannaggio esclusivo di imprese estere (Zone economiche Speciali). Altre volte, taluni Stati possono dotarsi di particolari strumenti finanziari (come nel caso dei fondi sovrani) che permettono l’incremento di investimenti esteri in uscita, e al contempo, tuttavia, possono generare squilibri di natura non solo geo-economica, ma talvolta anche geo-politica. Tali fenomeni, dunque, sembrano essere il frutto dell’inasprimento della competizione territoriale generata dalla più spinta globalizzazione. Tuttavia la loro stessa esistenza determina un paradosso nel concetto stesso di libero mercato che si oppone all’intervento dello Stato nell’economia, viceversa tali enclaves vedono i Governi intervenire per favorire i processi economici e le imprese straniere. L’autrice, dunque, analizzando tali fenomeni da questa particolare prospettiva, rende un contributo rilevante nell’approfondimento di tematiche che, per loro natura, necessitano di particolare attenzione da parte dei policy makers, soprattutto a livello internazionale, per garantire interventi diretti a una più efficiente gestione.
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