La teoria della imputazione oggettiva dell’evento, che da lungo tempo domina incontrastata nella dottrina tedesca e ha faticosamente conquistato significativi settori di quella italiana, negli ultimi anni è stata sottoposta a rinnovate critiche, che ne contestano l’essenza stessa. Ad essere messa in dubbio è l’oggettività della teoria sotto il profilo della possibilità di determinare la illiceità della condotta secondo criteri del tutto indipendenti dal riferimento all’elemento soggettivo. Com’è noto, l’esigenza di selezionare già sul piano della imputazione oggettiva i rischi rilevanti è funzionale a limitare la responsabilità penale e a garantire l’imputazione di un evento ad un soggetto come opera sua, fatto proprio. La teoria della imputazione oggettiva rischia, tuttavia, di fallire l’obiettivo, se non riconosce che nell’ambito della tipicità oggettiva non è possibile differenziare adeguatamente i rischi, per la semplice ragione che – nell’ottica del mero causalismo – ogni evento è per definizione preceduto da un rischio significativo e che occorre introdurre criteri di selezione che includano la prospettiva dell’agente. Il concetto di rischio, per mezzo del quale si ritiene di assegnare un fondamento oggettivo alla tipicità, costituisce in realtà un elemento ambiguo e inafferrabile, a seconda della prospettiva (ex ante o ex post) e del metro (generalizzante o individualizzante) prescelti. L’evoluzione del pensiero dogmatico ha portato ad arricchire il fatto con l’elemento della “creazione del rischio” (e della “violazione della diligenza” nell’illecito colposo), ma al contempo ne ha accentuato il dualismo: la (ri)conoscibilità del rischio (da parte dell’agente o di un osservatore esterno) è divenuta parte costitutiva dell’illecito. Alla luce di nostri precedenti studi dedicati all’imputazione oggettiva (in particolare, al rapporto tra causalità ed evitabilità), che ci hanno permesso di acquisire consapevolezza riguardo alla natura cangiante di alcuni profili centrali della teoria del reato, si è consolidata l’esigenza di volgere lo sguardo verso il lato soggettivo dell’illecito, assumendo un diverso, e per certi versi opposto, punto di osservazione: non più la prospettiva ex post della imputazione (ovvero quella della oggettività misurata sul nesso tra condotta ed evento e in termini di offensività del fatto), bensì la prospettiva ex ante della illiceità (ovvero quella della soggettività riferita alla rilevanza penale della condotta segnata da dolo e colpa).
Leggi di più
Leggi di meno