Un libro che tratta di un argomento delicatissimo con un linguaggio ed una terminologia alla portata di tutti. Interessante e piacevole da leggere.
La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme
«Per lei, che, con William Faulkner, crede che “il passato non è mai morto, anzi non è neppure passato”, la memoria non è un dovere, ma una necessità, un bisogno, qualcosa di indispensabile per poter giudicare.» Sabina Loriga, “Diario del Mese” gennaio 2003
Un libro scomodo che pone domande che non avremmo mai voluto porci e che dà risposte che non hanno la rassicurante certezza dei ragionamenti manichei. Un libro che per questo provocò, al suo comparire, nel 1963, accese discussioni e pesanti critiche all'autrice.
Otto Adolf Eichmann, figlio di Karl Adolf e di Maria Schefferling, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell'11 maggio 1960, trasportato in Israele nove giorni dopo e tradotto dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme l'11 aprile 1961, doveva rispondere di 15 imputazioni. Aveva commesso, in concorso con altri, crimini contro il popolo ebraico e numerosi crimini di guerra sotto il regime nazista. L'autrice assiste al dibattimento in aula e negli articoli scritti per il "New Yorker", sviscera i problemi morali, politici e giuridici che stanno dietro il caso Eichmann. Il Male che Eichmann incarna appare nella Arendt "banale", e perciò tanto più terribile, perché i suoi servitori sono grigi burocrati.
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Autore:
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Traduttore:
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Collana:
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Edizione:20
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Anno edizione:2013
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Cecilia Verde 26 ottobre 2018
Ottimo libro
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La trama di questo saggio è facilmente intuibile dal sottotitolo, ovvero "Eichmann a Gerusalmme", perciò viene trattato il processo di quest'ultimo con riferimenti al contesto storico-sociale in cui ha vissuto ed operato, e le conseguenze. Interessanti sono le considerazioni dell'autrice. La Arendt critica il tribunale ed il luogo in cui si è svolto il processo, poiché le atrocità commesse sono crimini contro l'umanita ancor prima di essere crimini contro gli ebrei, perciò il tribunale doveva essere composto da una corte internazionale e non solamente da israeliani, ed infine il luogo non poteva essere Gerusalemme (per lo stesso motivo), ma un luogo "neutrale". Nonostante ciò, la fine del processo era, a suo avviso, prevedibile, ma poteva essere concluso diversamente. Queste critiche le portarono molte accuse comprese quelle della comunità ebraica (nonostante fosse anch'ella ebrea di nascita).
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