La prosa di Marie NDiaye avvolge il lettore nel fascino ipnotico dei gesti minimi e infiniti delle mani che preparano un banchetto, disseziona ricordi e sentimenti con feroce determinazione.
"Capiva le sensazioni, dal momento che si adoperava per farle nascere e si incantava quando si manifestavano sulla faccia dei commensali, in fondo era per questo che non risparmiava i suoi sforzi, da anni, quasi senza sosta. Ma le parole per descrivere tutto ciò le sembravano indecorose."
Mani sapienti che trattano tutti gli ingredienti con estremo rispetto, un contegno austero volto alla ricerca della perfezione, capelli sempre tesi e raccolti in uno chignon, solo qualche volta, nel silenzio della cucina al termine del servizio, qualche concessione a un sorriso sbilenco o a confessioni più intime. A raccontare questa donna umanissima ed eccezionale è un uomo che l'ha amata, che ha condiviso con lei lunghe ore di lavoro e di vita: ne ricostruisce l'infanzia modesta, i primi passi nel difficile mondo della ristorazione, il successo e la caduta cercando di farci intravedere la carne e il sangue dietro una maschera solo in apparenza fredda e distaccata. Della Cheffe non viene mai pronunciato un altro nome: nella desinenza femminile della parola che definisce i grandi cuochi è racchiuso il suo destino, quello di una grande donna, schiva vestale della sua arte in un mondo prevalentemente maschile. Per lei non è solo un luogo, o un'arte: è un'avventura spirituale. Non che il piacere e il corpo ne siano esclusi, ma sono gli strumenti di un viaggio. Nello stesso modo, la prosa di Marie NDiaye avvolge il lettore nel fascino ipnotico dei gesti minimi e infiniti delle mani che preparano un banchetto, disseziona ricordi e sentimenti con feroce determinazione. Per svelarci una protagonista struggente, estrema, insieme malinconica e sensuale, grandiosa come i suoi piatti.
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